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Inghilterra, legge sull’immigrazione “selettiva”: dentro i calciatori fuori i ricercatori

C’è extracomunitario ed extracomunitario. Il calciatore super pagato di Premier League, per esempio, in Gran Bretagna ha il visto garantito. Il ricercatore che vuole scoprire la cura per il cancro, invece, incappa nelle maglie della nuova legge inglese sull’immigrazione. Ospedali e centri di ricerca lanciano l’allarme: senza cervelli stranieri terapie e vaccini per le principali forme di tumore rimarranno chimere. Tutta colpa della legge-pasticcio che i Conservatori hanno approvato appena arrivati al governo lo scorso maggio. Da luglio è in vigore una quota massima di ingressi extra Ue nel Paese: 24.100. Una goccia nel mare visto che gli immigrati entrati nel 2009 sono stati oltre 500.000. Il limite rimarrà in forza fino ad aprile 2011, quando un “cap” definivo sarà introdotto.

A causa delle restrizioni i progetti di ricerca per individuare una terapia contro i tumori di origine genetica e per mettere a punto un vaccino contro il cancro al seno, si sono arenati. L’Institute of Cancer Research (Icr), il più prestigioso del Regno Unito, è anche il più colpito, perché impiega giovani laureati da 55 Paesi nel mondo. Attualmente ci lavorano quattordici scienziati internazionali, il gotha della ricerca contro il tumore. Ma con la legge attuale presto saranno clandestini e dovranno lasciare il Paese. In era laburista all’Icr erano stati accordati trenta visti, oggi si sono ridotti a quattro.

E mentre in Inghilterra c’è la fila per entrare, da noi c’è quella per uscire. I cervelli italiani all’estero, secondo i dati Ocse, sono circa 400.000 (dei quali 20.000 sono ricercatori), ovvero il 7% della popolazione in possesso di una laurea. In realtà il 33% dei giovani con istruzione universitaria vorrebbe lasciare il Paese ma tanti alla fine rinunciano per problemi economici.

A differenza dell’Inghilterra l’Italia non rappresenta, ancora, una meta ambita per i ricercatori scientifici. Da noi gli stranieri in questo campo nel 2006 erano solo il 5%, contro il 14,5 della media europea. Se da un lato offriamo buone borse di studio, dall’altro le complicazioni burocratiche per i visti non invogliano.

Il Regno Unito invece è sempre stato un Paese d’eccellenza per i suoi laboratori e la ricerca sulle staminali, proprio grazie alla grande capacità di attirare talenti da altre nazioni. Circa il 20% dello staff di università e istituti medici è costituito da scienziati e ricercatori extracomunitari. Il mese scorso un gruppo di premi Nobel aveva firmato una lettera pubblicata sul Times, per chiedere al governo un ripensamento. Se non ci sarà, sostenevano, l’Inghilterra perderà il suo primato.

All’interno della coalizione i Liberal Democratici scalpitano. Sono sempre stati contrari al tetto sull’immigrazione e soprattutto non condividono le eccezioni previste dal premier David Cameron. Gli atleti ai massimi livelli, come i calciatori, non rientrano nelle quote e hanno il visto garantito. E con un voltafaccia dell’ultimo minuto ieri Cameron ha annunciato che anche i trasferimenti “intra-company”, da una sede all’altra di un’azienda, non saranno compresi nel “cap”. Vuol dire che le società informatiche potranno portare dall’India tutti gli impiegati che desiderano, pagandoli una miseria. Ma in questo modo il business è salvo, ha esultato Vince Cable, ministro delle Attività Produttive. Non solo. Il premier ha anche lanciato un nuovo tipo di visto per imprenditori, che sarà offerto a chiunque abbia un’idea innovativa e redditizia e riesca a ottenere finanziamenti da privati per realizzarla.

Sport e affari sono garantiti. Ma a furia di aggiungere eccezioni alla quota il governo rischia di non raggiungere il suo obiettivo. Era stampato sul manifesto elettorale: ridurre i numeri degli extracomunitari da centinaia di migliaia a decine di migliaia, entro la fine della legislatura. Secondo gli esperti di immigrazione un traguardo a dir poco irrealistico.

di Deborah Ameri