Giovanni Senzani, il capo più ambiguo e sanguinario delle Brigate Rosse, ha finito di scontare definitivamente la sua pena otto mesi fa. Ma la notizia è trapelata soltanto ieri, nessuno finora se ne era accorto. Del resto l’ex criminologo, che fu consulente del ministero di Grazia e Giustizia durante il sequestro Moro, era in libertà condizionale da almeno cinque anni e precedentemente aveva ampiamente usufruito del beneficio di lavorare, all’esterno del carcere, presso una piccola casa editrice che ogni giorno da anni raggiungeva pedalando la sua bicicletta. A darne la notizia è stato l’edizione locale de La Repubblica, al quale l’ex brigatista ha detto: ”I giudici hanno potuto constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato l’estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho riconosciuto i miei errori davanti al Tribunale di sorveglianza. Ora sono un uomo libero. La politica l’ho abbandonata da un pezzo, ma non le mie idee di sinistra”. Ottimo, peccato che per sostenere che Senzani è cambiato bisognerebbe sapere chi sia davvero stato in passato. E questo nessuno sembra in grado di dirlo.
Nella sua scarna biografia è scritto che negli anni Settanta fu un criminologo di un certo talento. Si era laureato nella città californiana di Berkeley, insegnava nelle università di Firenze e Siena, scrisse persino un libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il prestigioso incarico di consulente di via Arenula, proprio negli anni in cui cadevano uno dopo l’altro, ammazzati dalle Brigate Rosse, magistrati come Palma, Minervini, Tartaglione, i più impegnati nella riforma delle carceri. Omicidi rivendicati da comunicati Br che grondavano di informazioni riservate, si parlò di una Talpa interna ma lui rimse al suo posto. A Roma usufruiva in via della Vite di un appartamento che divideva a metà con un regista, che era però anche un informatore del Supersismi, la tecnostruttura di stampo piduista ancora avvolta dal mistero.
Le note di agenzia ribadiscono ancor oggi che “Senzani guidò con Moretti il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro”. In effetti non fu mai condannato per il rapimento e l’uccisione del Presidente, fu proprio il Sismi, allora diretto dal generale Santovito (tessera P2 1630) a tirarlo fuori dal processo grazie a un affidavit in cui si sosteneva che il professor Senzani era in quei mesi impegnato in uno stage negli Usa. Nessuno mai ritenne di approfondire la validità di una simile informativa, anche se disperatamente l’ex vice questore di Genova Arrigo Molinari andava sostenendo di avere le prove certe della presenza di Senzani in Italia in quel periodo grazie intercettazioni telefoniche, aprile 1978, tra alcuni medici genovesi e il criminologo che appariva preoccupato dal fatto che un brigatista torinese, gravemente ferito durante un attentato, potesse riprendere conoscenza (e parlare).
Fu la commissione d’inchiesta sulle Stragi di Giovanni Pellegrino a illuminare le molte zone d’ombra del brigatista-criminologo. L’indagine, affidata al maggiore del Ros Massimo Giraudo, focalizzò l’attenzione su Palazzo Caetani, proprio quello di fronte al quale fu ritrovata la Renault Rossa con all’interno il cadavere di Moro il 9 maggio 1978. L’indagine condusse al sospetto che fosse proprio quella l’ultima prigione di Aldo Moro, a partire dai filamenti di tessuti, ritrovati sui suoi vestit che riportavano ai magazzini sotterranei dei commercianti ebrei. Ebbene Senzani, quale studioso apprezzato negli Usa, sembra frequentasse all’interno di Palazzo Caetani un misterioso Centro Studi.
All’epoca dominus di Palazzo Caetani era Hubert Hòward, un naturista americano che fu anche presidente di Italia Nostra, cognato del musicista Igor Markevitch sul cui ruolo di Anfitrione nel rapimento Moro si è molto fantasticato. Hòward aveva partecipato alla liberazione di Firenze, era rimasto molto legato ad ambienti importanti della città. Molti passaggi riportano al capoluogo toscano, a quel Comitato esecutivo delle Br, regia di comando del sequestro Moro. Proprio lì, tanti anni dopo, il 3 marzo 1993 – la Prima Repubblica era già stata travolta da Tangentopoli e Andreotti stava per essere indagato dai magistrati di Palermo – ecco che ricompare l’ombra del Superservizio durante i lavori di ristrutturazione nel palazzo nobiliare del defunto marchese Bernardo Lotteringhi della Stufa. Si scoprì una soffitta piena di armi, tutte avvolte con giornali risalenti al 1978. Il marchese rivelò che il padre Alessandro aveva messo disposizione di un amico “importante” il primo piano dell’edificio per incontri riservati e colloqui telefonici (era stata collocata una cabina con segreteria telefonica) per consentire contatti con una “fonte” in grado di riferire sul sequestro Moro. L’amico era il colonnello Federigo Mannucci Benincasa, capo del centro di Controspionaggio di Firenze, mosaico di oscurità e depistaggi. La fonte? I sospetti si concentrarono su Giovanni Senzani, nessuno del resto ha mai creduto che il capo del Comitato rivoluzionario toscano fosse negli Usa durante il sequestro Moro. E lo storico Giuseppe De Lutiis insinua che sia stato lui a condurre l’interrogatorio di Moro nel carcere, del resto era l’unico in grado di farlo.
E’ questa la zona più in ombra della biografia di Senzani. Tutte le informazioni che abbiamo riferito sono frutto dell’indagine parlamentare, mai acquisite dal processo giudiziario. Il suo ruolo di capo Br diventa esplicito a partire dal 3 agosto 1981, quando fu ritrovato in un casolare sull’Appia il corpo trucidato di Roberto Peci, dopo 53 giorni di prigionia con tanto di interrogatorio, processo e condanna finale. Macabra pantomima del processo Moro, chi sa mai a chi rivolta e perché. L’unica colpa di Roberto era quella di essere fratello di Patrizio, il primo brigatista pentito. Ci sono poi le cupe pagine del sequestro Cirillo che vedono Senzani spartirsi con i vertici del Sismi che facevano capo al generale Pietro Musumeci (anche lui piduista) il riscatto cui generosamente avevano partecipato gli imprenditori napoletani interessati a spartirsi la torta degli appalti post-terremoto. Non sappiamo chi sia oggi Giovanni Senzani, soprattutto non sappiamo chi sia mai stato. Vale la pena di citare l’ironica risposta che diede il pm Tindari Baglioni alla domanda di un giudice che voleva sapere se davvero lo Stato fosse impreparato di fronte alle Br. “Non so, certo sia noi che le Brigate rosse avevamo lo stesso consulente, e cioè il Senzani”.