No alla legge islamica nelle corti dello stato. Ma in America nessun musulmano ne ha mai chiesto l'applicazione. I militanti per i diritti civili portano in tribunale l'emendamento
L’Oklahoma contro la sharia. E’ il senso di un referendum passato lo scorso 2 novembre, che bandisce la legge islamica, e quella internazionale, dalle corti dello Stato. Nei giorni scorsi, un militante per i diritti civili ha fatto causa all’Oklahoma, perché la misura violerebbe i diritti dei musulmani e la separazione tra Stato e Chiesa.
Il nuovo episodio dello scontro tra America e Islam si sviluppa lo scorso giugno, quando Rex Duncan, avvocato repubblicano e deputato al Parlamento locale, presenta un proposta di emendamento alla Costituzione. Duncan vuole che i tribunali dell’Oklahoma, nell’assumere le loro decisioni, si ispirino esclusivamente alla legge federale e a quella dello Stato. Bandito il diritto internazionale. Bandita, soprattutto, la sharia, la legge islamica, che Duncan descrive come un “cancro” che ha già devastato diritto e società in Gran Bretagna. A chi gli fa notare che la sharia non è legge in Oklahoma, Duncan risponde che “non importa”, che il suo vuole essere “un attacco preventivo, mentre lo stato è ancora in grado di difendere se stesso da questa odiosa invasione”.
Duncan non è nuovo a iniziative anti-Islam: nel 2007, rifiutò una copia del Corano, dono dell’ufficio del governatore a tutti i deputati. I cittadini di questo angolo dell’America centro-meridionale, da sempre feudo dei conservatori (qui sette elettori su dieci sono registrati come repubblicani), gli danno ragione e martedì scorso, in coincidenza con le elezioni di midterm, fanno passare la proposta con il 70% dei voti.
Intanto qualcosa si è spezzato in Oklahoma. Le moschee di Tulsa e di Oklahoma City sono costrette sempre più spesso a rivolgersi alla polizia per denunciare minacce e telefonate anonime. A Tulsa un gruppo di ragazzini musulmani è stato insultato da alcuni passanti. I giornali riportano le testimonianze di diverse donne musulmane, che raccontano di lasciare ormai a casa il velo, per paura di essere identificate. E’ una condizione nuova per i 30mila musulmani dello Stato (su una popolazione di quasi quattro milioni) che da sempre sperimentano alti livelli di integrazione. Solo in un caso, nel 1995, la comunità venne sospettata di aver fatto saltare in aria l’edificio federale di Oklahoma City.
Il referendum di Duncan cambia però le cose. Sull’Oklahoma cala Brigitte Gabriel, l’attivista libano-americana convinta che l’Islam sia una scuola di terrorismo. Gruppi cristiani locali organizzano riunioni e sit-in di protesta. Il caso del referendum contro la Sharia si intreccia con altre manifestazioni di frenesia anti-islamica: le polemiche sulla moschea a Ground Zero; il falò delle copie del Corano da parte del reverendo Terry Jones; le dichiarazioni della favorita del Tea Party, Sharron Angle, secondo cui l’Islam ha ormai issato le sue bandiere in Michigan e Texas. Il risultato del referendum di Duncan, è già ampiamente scritto, nei timori e nelle pulsioni più profonde di una parte della nazione.
“C’è un limite a quello che possiamo fare”, dice ora il portavoce dell’Islamic Council dell’Oklahoma. Il commento sconsolato si riferisce al dato semplicissimo che, in tutto questo trambusto, è andato perso. Nessun musulmano, in Oklahoma o in altra parte degli Stati Uniti, ha mai chiesto l’imposizione della legge islamica. Nessun tribunale, negli Stati Uniti, ha mai riconosciuto la precedenza della legge islamica sulla Costituzione. La proposta di Rex Duncan è, appunto, “un attacco preventivo”, che spara su un obiettivo che non esiste. Un militante del Council on American-Islamic Relations ha deciso di portare in tribunale l’emendamento, che stigmatizza una sola religione contro tutte le altre. I musulmani dell’Oklahoma, intanto, aspettano che la buriana passi: “Siamo qui da anni. Non ce ne andremo”.
di Roberto Festa inviato negli Stati Uniti
Una collaborazione Il Fatto e Dust