E va bene, la stagione in corso è poco esaltante. Facciamocene una ragione. La Lazio capolista cade nel derby, l’Inter zoppica, il Milan va ad alti e bassi così come la nuova Juventus di Del Neri. E anche se la decima giornata esalta il Diavolo dei tre mediani (non era “la squadra del bel giuoco tutto d’attacco”?), la Vecchia Signora torna a sognare di vincere uno scudetto sul campo (a dispetto di una Beneamata in crisi, ma lo è da 25 anni), non bisogna essere degli espertoni per cogliere il disastro in atto: basta guardare una partita. D’altronde “il campionato più bello del mondo” era un format anni Ottanta. E il calcio, si sa, è specchio del Paese. Difatti i risultati del turno infrasettimanale di coppa sono stati oltremodo impietosi. Repubblica scrive: “L’Italia perde i pezzi, 9 sconfitte e 88 infortuni”. La Gazzetta: “Squadre vecchie, siamo tornati indietro di 10 anni”. Affidiamoci a Inzaghi, Totti e Del Piero. Strano, direte voi. E che fine ha fatto l’allegra brigata portata da Lippi in Sudafrica? Be’, uno sverna a Dubai, un altro è fuori rosa per punizione, molti fanno panchina, mentre chi gioca, eccetto Gattuso, è in condizione penose. E le nostre speranze? Cassano fa il Franti con Garrone, Balotelli è annoverato tra i cervelli in fuga (a proposito, ieri si è esibito nel meglio del suo repertorio: due gol ed espulsione). Allora non bisognerebbe correre ai ripari? Certo che sì. Presidenti, federazione, ci siete?
Sindacalismi
I presidenti ci sono, assolutamente. Da mesi ingaggiano un braccio di ferro con il sindacato dei calciatori per il rinnovo del contratto. Un muro contro muro. Da una parte migliaia di federati, non solo ricchi e famosi, ma anche gente pagata il minimo (ossia 1200 euro e non per tutte le 12 mensilità). Dall’altra i presidenti-padroni, che vogliono essere sempre più padri-padroni e sempre meno appassionati-imprenditori. Loro tirano fuori i danèe, dicono. E non possono mica sottostare alle bizze di quattro ragazzotti in mutande. Vogliono avere il contratto dalla parte del manico. Come se già non l’avessero. In caso di insulti, possono anche licenziare un loro dipendente. Oppure dire all’allenatore di pettinarsi (e questo poi si presenta in sala stampa fresco di coiffeur, come ha fatto Allegri dopo la reprimenda di Berlusconi). Oltretutto alle trattative mandano il presidente Lo Tito, uno abituato a sbattere un calciatore in tribuna se non rinnova il contratto. Be’, i giocatori non l’hanno presa bene. Un po’ come fare Eichmann responsabile della 626, devono aver pensato.
Retro foyer
Per fortuna ci sono i “dietro le quinte”. Nei quali succede di tutto. A Milanello, Ibrahimovic e Onyewu vengono alle mani durante un allenamento. I due sono degli energumeni, tanto che ci vogliono dieci persone per dividerli. Lo fanno davanti a parecchi tifosi e alle telecamere di Sky. Che però, stranamente, decidono di non mostrare le immagini. Come sempre, la squadra partito è protetta dallo spettacolo pubblicitario delle pubbliche virtù. Mentre il muro a salvaguardia dei vizi privati mostra qualche crepa. Difatti la Gazzetta dedica alla rissa la prima pagina più due all’interno, il Corriere mezza delle due riservate al calcio, Repubblica quasi una pagina e mezzo. Solo il casalinguo Giornale la riporta con nove righe e mezzo a margine. Come dire: gli argini stanno cedendo. Ricordate le parole di Fabrizio Corona? Difendendosi al processo, si sperticava in lodi al Milan. Squadra modello, a sentir lui, perché faceva razzia dei servizi di gossip sui suoi giocatori. Permettendo che si pubblicassero quelli sugli altri. 25 anni di berlusconismo spiegato in parole semplici.
Calcio e pestemmie (con la p)
Su il Giornale di venerdì 5 novembre, però, Tony Damascelli riporta una curiosa notizia. Il calciatore della Sampdoria Nicola Pozzi è stato squalificato per aver bestemmiato. In campo, direte voi. No, mangiando una piadina insieme a un collega. Per sua sfortuna, vicino c’era un collaboratore della procura federale, il quale non si è fatto gli affaracci suoi (questa volta le telecamere di Sky non erano presenti). Sempre riportando l’articolo di Damascelli, un altro giocatore, Bovo, durante Palermo – Lazio, avrebbe bestemmiato in diretta. Tuttavia, non beccato dagli arbitri, è stato graziato (Bovo, ego te absolvo). Giustamente il giornalista si è chiesto: ma il divieto di blasfemia non riguardava la partita? E la prova televisiva? Invece la questione è un’altra. E va al di là della libertà o meno di bestemmia con piadina. Oggigiorno, la differenza la fa essere sentiti smadonnare, oppure farsi cogliere dalle telecamere. Infatti leggere il labiale può ingannare. Sfido chiunque a capire, senza sentirlo, se uno sta declinando al maschile la parola orchidea, oppure proferendo la sua più assonante bestemmia. Nel primo caso, si sa, non c’è peccato; nel secondo sì. Questione di p, insomma. E di B.
di Matteo Lunardini