Uno dei più seri presidenti della Sicilia è stato certamente Mario D’Acquisto, capocolonna andreottiano negli anni Ottanta. A differenza di Cuffaro o Lombardo, infatti, non si faceva ufficialmente indagare come mafioso, non si faceva fotografare coi cannoli, e soprattutto – cupo e letale – non rideva mai, nemmeno quando piazzava i suoi uomini nella colonna siciliana della P2. Che cosa combinò la P2, e soprattutto in Sicilia, e soprattutto in quegli anni, sarebbe bello sapere. D’Aquisto inoltre (e questa è la seconda differenza dai tempi nostri) non fu mai sostenuto dalla sinistra, che allora era Berlinguer e Pio La Torre.
Il “nuovo” della politica siciliana, esteticamente parlando, è tutto qui. Prima c’erano i tragici Lima e Ciancimino, e gl’incorruttibili nemici del Pci. Ora ci sono macchiette (fors’anche sanguinose: ma macchiette), e ciascuna di loro ha i propri amici e alleati nel Pd: di cui alcuni sono corrotti ma altri persone perbene.
Fra queste ultime sicuramente c’è Beppe Lumia, che è un antimafioso esemplare da molti anni. Perché un Lumia viene a trovarsi con un Lombardo? O, a un livello meno drammatico, una Borsellino con un Fiumefreddo, un Crocetta con un Toni Zermo?
Sono persone coraggiose e buone, non le si può certo accusare di tradimento. E sono, per quel che sappiamo, sane di mente. Eppure sono riuscite a infilarsi in un groviglio inestricabile di accordi, di controaccordi, di equilibrismi e alleanze in confronto a cui gli inciuci di Veltroni e D’Alema appaiono rozzi e primitivi.
Il fatto è che nè Lumia né Crocetta né la Borsellino, nè Orlando nè l’Alfano nè Fava nè, a quanto pare, alcun altro come loro si sente parte di un tutto, di un collettivo. Sono cavalieri isolati, alla Lancillotto (“Non posso battere la mafia da solo” dichiarò tempo fa uno di loro). Mettersi insieme, fare squadra, non gli passa neppure per la mente. Ovvio che quindi risultino, individualmente presi, pessimisti e sfiduciati.
Il loro pessimismo nasce anche dal fatto che, salvo eccezioni momentanee ma rimosse, non hanno mai avuto una fiducia reale nei movimenti (il cooordinamento antimafia, i Siciliani Giovani, il Rita Express) che via via incontravano. “Bravi ragazzi sì, ma la politica è un’altra cosa”. E hanno puntato tutte le carte sulla politica tradizionale. Che non ha funzionato.
Da ciò, isolamento e sfiducia. Alcuni hanno reagito raddopiando gli sforzi, persuasi che bisognasse solo insistere. Altri cercando di galleggiare alla meno peggio. Altri ancora hanno deciso che, perso per perso, tanto valeva – nell’interesse geneale – contrattare almeno il meno peggio, accordarsi coi meno stronzi fra i nemici.
Ora, con Lombardo indagato e tutto il resto, cercano disperatamente una soluzione. Ma soluzioni non ce n’è. E finiscono per trovarsi involontariamente arruolati con questo o quel signore della guerra – i vari Lombardo, Micciché Fiumefreddo, Castiglione e chi più ne ha più ne metta – che, su oppeste fazioni, cercano classicamete di farsi le scarpe a vicenda nel momento del patatrac generale.
Ce ne dispiace per Lumia, e anche per diversi nostri amici, giovani e meno giovani, che nella fretta di colpire questo o quel singolo barone non riescono più a percepire che la guerra in realtà è contro tutta (indivisibile) la baronìa.
E va bene. Sono cose banali, lo sappiamo, ma ripetiamole ancora: l’antimafia, che è politica, può farla solo l’insieme di tutti gli antimafiosi. Se vi si intrufolano altri, non funziona. Se ci si allea con gente strana, non funziona. Se si comincia a distinguere, non funziona. Se ci sente “isolati”, non funziona.
Adesso funzionerebbe come noi mai, perché il nemico è confuso, perché re e duci litigano, perché i sacrifici che esigono son diventati davvero troppo grossi. Sarebbe automatico, e semplice, vincere in un momento come questo. Ma forse è troppo semplice, per i complicati politici che ormai siamo diventati.
E non parliamo più della Fiat. E ci illudiamo che il regime caschi – forse – per una mera storia di puttane. E ci prepariamo ad accogliere tutti contenti Fini, Draghi, Montezemolo, Lapo Elkann, Dino Grandi, Casini, chiunque i poteri forti vogliano imporci al posto dell’ormai inusabile duce.
Facciamo motti di spirito, belle frasi, e battute indignate e ipotesi da farmacia. E non parliamomo più di Fiat. E di mafia pochissimo. E non parliamo mai affatto, imperdonabilmente, di sciopero antimafia e antifiat, sciopero generale.
“Cambiare tutto perché non cambi niente…”. Quante volte, in Sicilia. Ma una volta, almeno, c’era chi resisteva duramente, egualmente nemico di gattopardi e borboni