La rivoluzione verde promossa dall’Unione Europea non produrrà nessun effetto benefico sul cambio climatico. Anzi, genererà un livello d’inquinamento superiore a quello associato ai combustibili tradizionali. La denuncia dell’Institute for European Environmental Policy
Il programma stilato dall’Ue che mira a ridurre la dipendenza dei Paesi membri dalle fonti fossili, prevede nei prossimi anni una significativa crescita nell’utilizzo dei carburanti di origine vegetale. Entro il 2020, si stima, questi ultimi saranno responsabili del 9,5% dell’energia impiegata nei trasporti entro i confini dell’Unione. Il traguardo è ambizioso e richiederà lo sviluppo di coltivazioni ad hoc su scala mondiale impegnando qualcosa come 69 mila chilometri quadrati di terra (per avere un’idea si tratta più o meno della superficie della Repubblica d’Irlanda) a discapito della produzione alimentare (oltre il 90% dei carburanti sarà ottenuto a partire da materie prime commestibili). Una conversione, quest’ultima, capace di produrre effetti devastanti.
Il cambio di utilizzo delle terre e la deforestazione, spiegano i ricercatori, renderà l’Europa responsabile di emissioni aggiuntive di CO2 per una quantità compresa tra i 27 e i 56 milioni di tonnellate all’anno. I carburanti verdi, in altre parole, potrebbero generare un aumento dell’inquinamento pari anche al 167% rispetto ai loro omologhi fossili contro il -50% ipotizzato dall’Unione nel programma ufficiale della cosiddetta Renewable Energy Directive. In pratica, sottolinea il rapporto, si tratta dello stesso impatto ambientale che si avrebbe con un aumento del traffico pari a 26 milioni di veicoli aggiuntivi nel prossimo decennio.
«La dimensione dei danni che i Paesi europei produrranno con i loro piani di sviluppo dei biofuels è ormai evidente – spiega Adrian Bebb di Friends of the Earth Europe – . Le foreste e la natura saranno distrutte su larga scala per rifornire le nostre automobili, e le conseguenti emissioni di gas serra renderanno i biofuels inquinatori peggiori degli stessi carburanti fossili». Secondo gli analisti, appena cinque Paesi – Regno Unito, Germania, Italia, Francia e Spagna – saranno responsabili del 72% della domanda aggiuntiva di carburanti verdi del prossimo decennio. La Germania si imporrà come principale utilizzatore mentre la Gran Bretagna guiderà la classifica delle importazioni con 3,7 milioni di tonnellate acquistate dall’estero entro il 2020.
Ma l’effetto inquinamento, ovviamente, non è tutto. La crescita delle coltivazioni ad uso energetico, infatti, porta con sé anche gravi ricadute sulla disponibilità dei terreni agricoli tradizionali riducendo l’apporto di risorse alimentari soprattutto nei Paesi più poveri. Una spirale già nota fatta di espropri (land grabbing) ed impennate dei prezzi motivate tanto da tipici fattori di mercato (domanda e offerta di terreni e materie prime) quanto da collaudate speculazioni finanziarie. Per Laura Sullivan di ActionAid, insomma, più che ad una soluzione al cambio climatico, quella europea sembra piuttosto una politica energetica capace di «mettere in pericolo milioni di persone minacciando la fragile sicurezza alimentare africana». O, per dirla in modo più diretto, un vero e proprio «assegno in bianco offerto alle compagnie per continuare a sottrarre ai poveri i terreni agricoli». Bruxelles, dunque, è chiamata al cambio di rotta. La battaglia delle Ong è appena cominciata.
Una sintesi:
http://www.eeb.org/EEB/?LinkServID=1B641DFA-9F69-5264-B711A651D649183E