L'area è un ex discarica su cui erano iniziati i lavori di costruzione di un intero quartiere. La magistratura ha riscontrato gravi irregolarità nella messa in sicurezza dei terreni, che rientrano nel progetto "Vie d'acqua Expo"
L’inchiesta, condotta dalla pm Paola Pirotta e coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, è cominciata lo scorso giugno in seguito a un esposto presentato dallo stesso De Carli assieme a Sergio Pennacchietti, portavoce di un comitato che da circa tre anni e mezzo si batte contro il megaprogetto immobiliare.
Sul registro degli indagati sono finiti i responsabili del cantiere ma soprattutto alcuni dirigenti pubblici: Achille Rossi, responsabile del settore Piani edilizi esecutivi del Comune di Milano, Annalisa Gussoni, responsabile delle bonifiche e Paolo Perfumi dell’agenzia per la protezione ambientale regionale.
La magistratura ha rilevato che la falda acquifera e i terreni sono contaminati da ogni tipo di veleni: metalli tossici, pesticidi, diossina, solventi e molte altre sostanze cancerogene.
Non c’è da stupirsi, perché l’ex cava di Geregnano è stata utilizzata per trent’anni come discarica. Sotto il terreno sono sepolti due milioni di metri cubi di rifiuti tossici. Quello che sconcerta è la decisione, avallata dal Comune, di costruirci sopra un intero quartiere dovrebbe ospitare 5000 persone. Il tutto senza una vera e propria bonifica, ma solo con “una messa in sicurezza”.
E’ questo il punto. Il progetto di recupero della zona non prevede l’asportazione dei rifiuti, ma la loro copertura con un telo di polietilene (dello spessore di un centimetro e mezzo) steso per 260mila metri quadrati, saldati fra loro e coperti da un po’ di terra buona. Per una superficie totale corrispondente a circa 35 campi da calcio.
Fino agli anni Cinquanta la zona è adibita a cava. Esaurite le estrazioni di sabbia, si decide di riempirla. Per oltre trent’anni gli otto metri di dislivello vengono coperti con ogni tipo di sostanza: dai riufiuti urbani, a quelli industriali fino agli scarti farmaceutici. Quindi tutto resta fermo. Il Comune non ha i soldi per bonificare. Nel 2006, l’area, originariamente di proprietà dell’immobiliarista Cabassi, viene acquistata. Chi compra è la Antica Acqua Pia Marcia Spa (che fa capo all’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone e alla Torri Parchi Bisceglie Srl) che in cambio della riqualificazione ambientale chiede al Comune come contropartita l’autorizzazione a una massiccia (e remunerativa) edificazione.
E’ la prima volta che in Italia si decide di costruire delle case sopra i rifiuti. Parte così il progetto “Calchi Taeggi”. La regione Lombardia, nonostante il sito sia gravemente contaminato, decide di non richiedere la valutazione d’impatto ambientale e nel 2007 il Comune di Milano approva “piano integrato di intervento” che prevede una generica “bonifica dell’area secondo le leggi vigenti”.
Ma asportare due milioni di metri cubi di rifiuti costa troppo e l’affare non conviene. Meglio coprirli con un telo e prevedere una serie di misure per fare in modo che l’acqua piovana non penetri nel terreno avvelenato. E’ la prima volta che si edifica un intero quartiere senza prevedere la costruzione di neanche un box. Sarebbe troppo pericoloso scavare in profondità.
L’opera di riqualificazione viene affidata a due società, la 1 Emme e la Arcadis Set. Il piano parla esplicitamente di semplice “messa in sicurezza” e viene motivato dal fatto che una vera bonifica avrebbe comportato dei costi insostenibili (165 milioni di euro), superiori al valore di mercato dell’area (senza ovviamente calcolare i ricavi del cambio di destinazione d’uso e dell’edificazione).
Peccato che, secondo gli inquirenti, l’operazione non sarebbe conforme al tipo di intervento di cui c’era veramente bisogno. Inoltre il Comune di Milano avrebbe rilasciato delle autorizzazioni illegittime alle società coinvolte nelle operazioni di riqualificazione. “Siamo intervenuti perché c’era un problema grave e urgente per la salute pubblica”, dice il Robledo motivando le ragioni del sequestro preventivo.
Da una relazione dell’Arpa e del Corpo forestale dello Stato acquisita dalla magistratura emerge che, nell’ambito delle operazioni di recupero ambientale, le autorizzazioni rilasciate dal Comune alle società coinvolte sono “tutte illegittime” e che hanno “apportato un vantaggio patrimoniale” per le società cui è stata data l’autorizzazione alla bonifica”.
Nel giugno scorso Legambiente e il comitato Calchi Taeggi presentano in procura le denunce sulle irregolarità delle bonifiche. A ottobre la Asl stila un rapporto in cui, dopo una serie di accertamenti, indica che la falda acquifera è pesantemente inquinata dalle sostanze cancerogene. Una nuova Santa Giulia? Quello che per il momento è certo è che la lente della procura, ancora una volta, si è indirizzata su quei cantieri che dovrebbero rappresentare il rinascimento urbanistico della città in vista dell’Expo.