Il prof. Giavazzi scrive molto spesso di università sulle colonne del Corriere della Sera ed è uno dei commentatori che più hanno dato sostegno alla riforma Gelmini. Guido Martinotti lo iscrive ironicamente nella lista di quel gruppo di consulenti del ministro che al grido “siamo noi la libertà, siamo noi la California” stanno facendo a pezzi l’università pubblica. Essendo economista, i suoi editoriali sono argomentati partendo dai numeri: andiamo dunque a vedere i numeri del Prof. Giavazzi.
Quante ore deve fare un professore universitario ? Né la legge 311/1958 e né la legge 382/980 stabiliscono un numero prefissato di ore di didattica frontale, mentre la legge Moratti 230/2005 prevede che ci debbano essere 120 ore frontali. Tanto o poco, non è questo il punto. Il punto è che non sono 60 come ci dice il prof. Giavazzi.
Quante università statali ci sono in Italia ? Le università italiane sono 89 di cui 61 sono statali. Gli altri 28 atenei sono non statali ed includono 11 atenei telematici. Dunque non sono 100 come ci racconta il Prof. Giavazzi.
Ci sono troppi professori. Come notato da Giuseppe De Nicolao “nel rapporto OCSE “Education at a Glance 2010” pubblicato lo scorso settembre, risulta che l’Italia è una delle nazioni con il più alto rapporto studenti/docenti (19,5 studenti per docente contro il 15.8 della media OCSE). In rapporto al numero di studenti, su 29 nazioni considerate ci collochiamo al ventiseiesimo posto.” Dunque la situazione non è come quella descritta il Prof. Giavazzi quando asserisce “Che nell’università ci siano troppi professori è un fatto”.
A quanto ammontano le tasse universitarie ? De Nicolao ci informa di nuovo che “secondo l’OCSE, l’Italia è sesta come entità di tasse universitarie e addirittura ultima come percentuale di studenti beneficiari di borse o prestiti per diritto allo studio, una situazione diametralmente opposta alla quasi gratuità”. Dunque l’università pubblica non è quasi gratuita come afferma il Prof. Giavazzi.
Il prof. Giavazzi dunque fa uso dei numeri piuttosto spregiudicato per dare carburante alle sue tesi, che si possono riassumere in: il Ministro Gelmini ha preso qualche decisione coraggiosa, è necessario aumentare le tasse universitarie, ma sopratutto che “il sistema universitario e della ricerca in Italia non sono riformabili…Illudendosi che sia possibile migliorare l’esistente in realtà si fa il gioco dei conservatori, cioè di coloro che sono responsabili del disastro in cui ci troviamo…”
Da quest’ultima considerazione saremmo portati a concludere che, essendo il prof. Giavazzi un fervente sostenitore della riforma Gelmini che in linea di principio dovrebbe migliorare l’esistente, sia uno di quei conservatori responsabili del disastro attuale. Ma forse ha cambiato idea ultimamente ? Oppure, coerentemente, il prof. Giavazzi considera la riforma Gelmini come lo smantellamento dell’università pubblica ? In questo caso, però, non bisognerebbe nascondersi dietro un “questa è una buona riforma” o almeno specificare che è buona perché distrugge e non perché migliora.
Comunque, secondo il prof. Giavazzi il coraggio del Ministro Gelmini sarebbe testimoniato dall’aver bloccato i concorsi universitari, che, a detta del prof. Giavazzi, si preannunciavano truccati. In pratica quello che è successo è stato di aver cambiato le regole per la nomina delle commissioni di concorso con risultati piuttosto dubbi.
L’unico risultato accertato è stato invece quello di aver paralizzato di fatto il sistema, impedendo lo svolgimento dei concorsi. Basti ricordare che i concorsi banditi nel 2008 sono ancora in corso.
Il ministro avrebbe poi, sempre coraggiosamente, deciso che il 7% dei fondi pubblici venga ripartito sulla base dei risultati della ricerca. Tuttavia, come notato “la riforma non fa affluire più risorse ai gruppi di ricerca più attivi e non individua i rami secchi da tagliare negli atenei” e che “presentarla come una riforma è una mistificazione”. Il motivo è semplice: la qualità all’interno di ogni ateneo è molto eterogenea e dovrebbero essere i dipartimenti, e non le università, i centri da finanziare.
Infine secondo il prof. Giavazzi nel nuovo ddl la coraggiosa Gelmini avrebbe introdotto “la tenure track comune nelle migliori università”. Peccato che nelle università americane, inglesi, svizzere, ecc. non si può offrire una tenure track (TT) se non si ha in mano la copertura finanziaria per la posizione tenure, ovvero per la posizione permanente. Quello che un’università non può fare è bandire una TT, valutare positivamente l’operato del ricercatore ma non poterlo assumere per motivi finanziari, ad esempio per sopravvenuti tagli ai contributi statali che sono determinati di anno in anno. Questa è la situazione che si prospetta in Italia in quanto ad oggi le università non conoscono la disponibilità finanziaria per l’anno in corso, figuriamoci quella tra 3 o 6 anni.
Insomma più che coraggioso tentativo a me sembra che il ddl Gelmini sia un grande pasticcio coperto di retorica fatta di dati imprecisi, come quella del prof. Giavazzi.
Veniamo all’ingiustizia suprema dell’attuale sistema secondo il prof. Giavazzi: “l’università come è ora è un trasferimento dai poveri ai ricchi”, ovvero le famiglie a basso reddito pagano l’università ai ricchi. Questo argomento è falso e non considera il fatto che le aliquote fiscali crescono con il reddito. Il problema dell’evasione fiscale si trova chiaramente a monte di ogni discussione sull’intervento statale. E casomai, bisognerebbe aumentare la spesa per il diritto allo studio e renderla paragonabile a quella del resto del mondo, anziché tagliarla.
E’ bene che su queste tesi, sostenute da uno dei più autorevoli consulenti del Ministro Gelmini, ci sia un dibattito pubblico ed articolato che coinvolga anche quella parte dell’università italiana che funziona bene a partire dai settori scientifici e che non si limiti ai soli economisti. Perché dietro il ddl Gelmini e la distruzione programmata dell’università pubblica, ci sono queste idee. Con il falso mito dell’università Bocconi, dove “un addetto alla segreteria ha il compito di entrare (per un attimo) in aula a 5 minuti dall’orario previsto per l’inizio della lezione e verificare se il professore c’è e quanti studenti stanno seguendo la sua lezione”. A Cambridge, Oxford, Princeton, Harvard e all’MIT non succede esattamente così, ma forse il prof. Giavazzi non lo sa.
Ma in fondo il prof. Giavazzi è lo stesso che, con grande acume, il 4 agosto 2007 ci avverte che: “la crisi del mercato ipotecario americano è seria, ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata.”
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