John Hawksworth, capo economista della PricewaterhouseCoopers (PwC), la più importante società di consulenza del mondo, ha parlato senza eufemismi di “bomba ad orologeria” e, dati alla mano, non avrebbe potuto scegliere un’immagine migliore. Perché quello su cui poggia il sistema economico britannico è un ordigno di enorme potenza destinato ad esplodere quando le condizioni di credito (leggasi tassi di interesse) finiranno inevitabilmente per peggiorare. Entro il 2015, ha rivelato in questi giorni la stessa PwC, il debito complessivo dell’economia del Regno Unito sfonderà la terrificante quota di 10 trilioni (diecimila miliardi) di sterline. Al cambio attuale fa 16 mila miliardi di dollari, quattro volte il Pil del Giappone. Un valore superiore a quello dell’intera economia dell’Ue o degli Stati Uniti.
Il rapporto PwC, i cui contenuti sono stati ripresi dalla stampa britannica, punta il dito sull’indebitamento complessivo del Paese prendendo in considerazione tutte le esposizioni del sistema: dal debito sovrano (ad oggi di gran lunga la voce meno preoccupante) a quello delle famiglie passando per quelli, estremamente onerosi, delle imprese e delle società finanziarie. Un aggregato di proporzioni gigantesche cresciuto a dismisura nel corso degli ultimi due decenni quando la corsa al credito ha conosciuto un’accelerazione senza eguali. Nel 1987, ha rivelato PwC, questo debito complessivo valeva circa il 200% del Pil. Oggi, con un valore totale di 7,5 trilioni di sterline, il rapporto è salito al 540% e la forbice è destinata ad allargarsi. Quando nel 2015 l’ammontare complessivo toccherà la temuta quota 10, precisa PwC, il Pil con ogni probabilità sarà ancora inferiore ai 2 trilioni.
Dietro al boom c’è ovviamente l’ipertrofica espansione del mondo finanziario britannico (i cui debiti valgono oggi il 245% del Pil contro il “misero” 46% registrato nel 1987) ma non solo. A contribuire all’ascesa sono stati anche i privati, ovvero imprese e famiglie. Per le prime il rapporto debiti/prodotto nazionale lordo è quasi triplicato nel corso degli ultimi 23 anni. Il quoziente patito dai cittadini, nello stesso periodo di tempo, è passato dal 63% al 110%. La tendenza, insomma, sarebbe già di per sé preoccupante. Ma il peggio deve ancora arrivare.
A favorire l’indebitamento e, soprattutto, a mitigarne gli effetti, ricorda PwC, sono stati (e lo sono tuttora) i bassi tassi di interesse. Il costo del credito è stato piuttosto contenuto nel corso degli anni ’90 e si è abbassato nuovamente con la recessione post-crisi. Peccato però che si tratti di una situazione temporanea. “I tassi odierni, eccezionalmente bassi, – ha dichiarato al Guardian Hawksworth – non potranno mantenersi tali per sempre”. Come dire che la futura crescita degli interessi non potrà far altro che peggiorare la situazione imponendo, magari, anche drastiche misure di riduzione delle esposizioni con inevitabile contrazione del credito e riattivazione della spirale recessiva. Secondo Hawksworth, il peso dell’indebitamento potrebbe smorzare la crescita economica del Paese per decenni.
Secondo il quotidiano The Independent, una crescita dei tassi di due punti percentuali nei prossimi anni genererebbe perdite annuali pari a 1.800 sterline per ogni famiglia. Un problema in più per i contribuenti d’oltremanica, già chiamati dopo la crisi a uno sforzo non da poco nel finanziare le acquisizioni di emergenza delle banche private semi-nazionalizzate dal governo. L’ingresso dello Stato nel capitale di Royal Bank of Scotland (84% delle azioni) e di Lloyds (41%) è costato da solo 76 miliardi. Alla fine del 2009 il National Audit Office (la corte dei conti britannica) rivelò che il conto complessivo del salvataggio pubblico della finanza nazionale, che comprendeva i capitali messi a garanzia dei prestiti e degli assets bancari, si aggirava sugli 850 miliardi di pound. Il valore della parte effettivamente scaricata sui contribuenti, si spiegò allora, sarebbe stata impossibile da stimare ancora per diversi anni.