Pure io ho assistito all’ultima puntata di “Vieni via con me” ed ho apprezzato l’intervento di Saviano.
A parte qualche imprecisione su Sciascia e Borsellino, condivido ogni parola del suo monologo. Purtroppo non è stato Sciascia col suo articolo a firmare la condanna a morte di Paolo Borsellino.
Magari i nemici di Falcone e Borsellino fossero stati quelli come Sciascia, Orlando o Galasso.
Ma questa è un’altra storia.
Apprezzo comunque Saviano per il coraggio con cui nel giro di pochi mesi ha avuto la capacità di occuparsi di aspetti molto più complessi e pericolosi delle dinamiche mafiose, di quanto non lo siano gli spacciatori e i killer di Scampia.
Giovani accecati dalla droga. Giovani privi di sentimenti e di valori che una società corrotta non è riuscita ad educare ed istruire. Giovani a cui viene armata la mano per uccidere altri simili, nel nome della stessa cultura della violenza e della morte.
Della cultura della mafia per la quale a fronte di una crescita esponenziale dei profitti dell’illecito, il valore della vita invece vale sempre meno.
I suoi libri e il suo film sono delle opere di ineguagliabile pregio giornalistico.
Quelle immagini e quei dialoghi ci fanno toccare con mano gli aspetti più cruenti e purtroppo ancora reali della criminalità campana.
Quelle scene di verità cruenta, però, racchiudono in sé gli aspetti più pericolosi della forza della mafia.
Di una mafia, però, che in molti riescono a cogliere solo sentendo il puzzo dei cadaveri, il botto degli spari o gli squarci di una esplosione.
Di una mafia che per molti è solo quel che resta sull’asfalto delle pozze di sangue versate dai morti o dalle tracce di gesso che segnano i bossoli dei proittili che sono stati sparati per ammazzarli.
Nel potere suggestivo e distruttivo di quelle immagini si racchiude le vera e forse la più pericolosa forza della mafia, che quelle immagini riescono a nascondere.
La forza di una mafia che con le manifestazioni più cruente della sua violenza, con le icone storiche dei boss e dei latitanti, ci vuole fare credere che la mafia è solo quello.
E’ con quelle immagini, appunto, che la mafia è riuscita e riesce a nascondere gli aspetti più pericolosi delle sue collusioni con la politica e le istituzioni.
I volti dei morti, come quelli dei killer che li hanno uccisi, anche quando vengono arrestati o uccisi pure loro, vengono dati in pasto alla stampa e molto spesso troppo enfatizzati, fino al punto da far credere alla gente che solo quello è mafia.
La rappresentazione cruenta delle propria violenza finisce così per diventare lo schermo di protezione della mafia, nel nome di una pseudo cultura antimafia che finisce per diventare funzionale alla stessa mafia.
Saviano questo da alcuni mesi l’ha capito e si sta dedicando con un impegno encomiabile a colmare quel vuoto che le sue inchieste giornalistiche avevano lasciato in chi, come me, non ha mai considerato la rappresentazione della mafia nelle sole immagini scattate nel corso dei sopralluoghi delle tante ricognizione di cadaveri.
Mi auguro quindi che Saviano, se glielo consentiranno, vada avanti nel percorso che ha imboccato.
Mi auguro che Saviano continui nelle sue inchieste giornalistiche per dimostrare che la mafia e la camorra non sono solo i vari Sandokan e i killer di Scampia.
Mi auguro che Saviano possa denunciare i tanti, troppi, Cosentino che ancora si fanno scudo delle istituzioni e della politica.
Mi auguro che Saviano non pubblichi più i suoi libri con la Mondadori.
Mi auguro di non vedere più una copertina di Panorama col sul volto.
Mi auguro che Saviano, specie dopo l’ultima vicenda di Ruby, non pensi più che “Maroni è uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre”.
Se così sarà mi identifico pure io nelle sue parole e mi riconosco nel frammento infinitesimale che mi appartiene del tricolore che ha avvolto tra le mani.
Quello stesso tricolore che ha avvolto le bare di quanti sono morti per la Verità e la Giustizia.
Una Verità e una Giustizia che non possono e non devono mai essere appannaggio di quei tanti politici e partiti – di destra e di sinistra – che inopinatamente se ne sono spesso appropriati.