Cultura

I diavoli di Zonderwater, le incredibili storie dei prigionieri di guerra a Pretoria

Sono i Pow, oltre 100.000 prigionieri di guerra diventata grandi boxer, straordinari calciatori e magnifici atleti. E tutto per sopravvivere

di RQuotidiano
Un dettaglio della copertina di "I diavoli di Zonderwater"

Alle 22 e 30 del 27 giugno 1973, all’Arena di Milano, un ragazzo sudafricano figlio di un immigrato italiano, correndo, sulla pista in tartan rosso, arrivò in solitaria al traguardo, diede un’occhiata al tabellone dei tempi, sorrise appena leggendo 1’43”7, ossia il nuovo record del mondo, e stramazzò sul campo con il cuore in subbuglio. Tutt’intorno il tripudio, poi la storica notizia battuta in fretta e furia dalle agenzie fece il giro del mondo, infine le domande: ma chi è Marcello Fiasconaro? E soprattutto: cosa ci faceva il padre in Sudafrica?

In verità Gregorio Fiasconaro, il padre di “March”, ragazzo che con i suoi capelli lunghi e la corsa divenne un’icona degli anni Settanta, in Sudafrica non ci era assolutamente emigrato; ma vi era stato deportato. La sua incredibile storia, insieme a tutte quelle degli oltre 100.000 Pow, i prigionieri di guerra italiani internati a Zonderwater, campo di prigionia a 43 chilometri da Pretoria, è stata raccontata, attraverso una grande raccolta di materiale e di testimonianze, da Carlo Annese in I diavoli di Zonderwater, 1941-1947, La storia dei prigionieri italiani in Sudafrica che sopravvissero alla guerra grazie allo sport.

Non è però una storia da italiani brava gente, né un tentativo di minimizzare gli orrori della guerra e le sue conseguenze, nonché responsabilità, sia storiche che individuali. Reclusa a Zonderwater, perché il governo del Sudafrica si era offerto di ospitarli, c’era una generazione sconfitta, divisa dopo l’8 settembre all’interno del campo così come in patria, affamata, delusa, lontana dagli affetti, costretta al mercato nero e alle miserie prodotte dalle privazioni. Tuttavia non priva di spirito di iniziativa. Sennonché per mangiare, o fumarsi qualche sigaretta in più, trovava sempre nuovi espedienti, come per esempio cantare oppure suonare e recitare. Ma anche praticare sport e, soprattutto, giocare a calcio.

Furono anche fortunati. Perché a capire il grande beneficio che queste attività avrebbero prodotto non solo alla tranquillità del campo, ma anche alla sorte futura degli internati, fu un uomo saggio, il colonnello Hendrik Prinsloo. Appassionato di musica e pugilato, fu lui a favorire il proliferare delle arti e dello sport, convinto che la dignità di una vita normale valesse più di ogni forma di controllo. Non a caso, una volta finita la guerra, fu insignito dal governo italiano della Stella d’Italia per meriti di solidarietà. E Pio XII gli conferì l’Ordine di Benemerente.

Sono tuttavia le singole storie a produrre l’affresco della vita del campo. E allora, siccome non si sopravvive se non si gioca, e il calcio è il gioco più bello del mondo, ecco la vicenda di Giovanni Vaglietti, ex Torino, uno che non fa in tempo a mettere piede a Zonderwater e la voce si sparge per tutto il campo: “È arrivato un fenomeno”. Perché saranno tanti i campionati giocati, fino a 12 le squadre in lizza, tra cui Juventus, Diavoli Neri (ma anche Rossi), Andrea Doria, Savoia, Duca D’Aosta, Tevere. Non mancheranno il calciomercato e le zuffe tra tifosi (la Juventus sarà multata di 500 sigarette). Nonché gli articoli sul giornale interno: “Tra i reticolati”. In breve si formerà una burocrazia. Testo vincolante diverrà un regolamento della Figc (così come a Robben Island, dove i neri imprigionati dal regime dell’apartheid si salvarono organizzando un campionato di calcio grazie a uno dei due libri in loro possesso: un regolamento della Fifa).

Oppure il match di pugilato tra Manca e Verdinelli, davanti a 15.000 persone, e la sua rivincita, attesa con trepidazione da tutto il campo, Prinsloo compreso, e fissata proprio l’8 settembre del 1943. Il colonnello sapeva che in Italia qualcosa stava per accadere, sapeva che 20.000 tifosi in delirio per due uomini che boxano avrebbero potuto trasformare il campo in una polveriera. Ma accettò che la sfida si tenesse.

Non certo per Gregorio Fiasconaro, famoso baritono e idolo del grande appassionato di lirica Prisloo. Abbattuto nell’estate del 1941 in Sudan e salvatosi in modo rocambolesco, il padre di “March” a Zonderwater trovò un ambiente ideale per coltivare il suo talento, e poi dopo, una volta finita la guerra, trovò nel Sudafrica una nazione dove poter diventare “il padre della lirica” e ricevere premi e attestati. Perché lui, come tanti altri Pow, in Sudafrica ha finito per restarci, trasformato da quella prigionia dal volto umano durante la quale aveva coltivato le proprie passioni, in una persona alfabetizzata e non abbruttita dalla guerra. Ripensandoci, forse Marcello Fiasconaro che corre a Milano, un motivo per andare così veloce ce l’aveva: tornare in Sudafrica il più presto possibile.

di Matteo Lunardini

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