Avrete sicuramente notato come i prodotti che ci ritroviamo ad acquistare ed utilizzare abbiano una durata sempre più breve. Borse, scarpe e vestiti che si rompono, scollano e sfilacciano dopo poche settimane o mesi che li si indossano; pentole e padelle antiaderenti (che già vanno, nonostante l’incredibile praticità e comodità, contro lo spirito stesso del cucinare, che richiede abilità e pazienza, e che è un’arte del saper aspettare e dell’avere continuamente cura di qualcosa), che si scrostano letteralmente al decimo lavaggio; asciugacapelli, lavatrici ed elettrodomestici vari che si inceppano (o in certi casi prendono addirittura fuoco!) sempre e comunque “in giovane età”; telefoni cellulari e fotocamere digitali che si rompono misteriosamente a pochi mesi dall’acquisto… Si potrebbe andare avanti all’infinito.
Ma perché accade tutto ciò? Perché frullatori risalenti anche agli anni sessanta ricevuti in dono, o in eredità, dalle nonne funzionano benissimo dopo mezzo secolo mentre la fotocamera, appunto, acquistata un anno fa, non dà più segni di vita dopo che magari il suo display si è rotto semplicemente stando in una borsa e che, a parere del negoziante vicino a casa, non può essere assolutamente riparata (a meno che non si vogliano spendere cifre esorbitanti), ma può solo essere sostituita in toto ?
Perché non possiamo più riparare qualcosa ma solo sostituirlo (per poi magari stupirci delle “emergenze rifiuti”)? Le risposte sono varie e più o meno complesse, ma, a parte il fatto che nella maggior parte dei casi abbiamo perso ogni capacità, anche solo di iniziativa, riguardante la riparazione degli oggetti che ci circondano e che ovviamente in certi casi non possiamo avere dall’oggi al domani (come si può poi avere la competenza di riparare una fotocamera elettronica?), i motivi principali risiedono nel dubbio che, visto che ai geni del marketing e dell’informazione far apparire ogni cosa obsoleta ogni poche settimane dopo la sua uscita sul mercato non basta più, le merci (tutte, dalla più semplice alla più tecnicamente avanzata) hanno un’obsolescenza programmata, e che ormai si progetta la stragrande maggioranza dei prodotti in modo che si guastino o addirittura si debbano sostituire entro periodi sempre più brevi.
Sempre più persone hanno iniziato però ad essere insofferenti a questo ennesimo tipo di presa in giro che arreca danni non solo all’intero “villaggio globale”, dai lavoratori sfruttati nei Paesi in via di “sviluppo” per produrre questa merce-spazzatura ai consumatori dei paesi “sviluppati”, ma anche ovviamente all’ambiente. Sempre più persone hanno iniziato a sentirsi profondamente infastidite dalle continue promesse di frivola felicità propinateci quotidianamente dai paladini della società dei consumi e della crescita economica (gli stessi, per intenderci, che con le loro speculazioni finanziarie e privatizzazioni selvagge ci hanno portato all’attuale “crisi”). Sempre più persone sentono la naturalissima esigenza di sfuggire a queste “logiche illogiche” ed alle tensioni e frustrazioni che ne conseguono.
Che fare, allora? Si potrebbe iniziare a re-imparare gradualmente a prodursi il più possibile i propri beni (cosa che urge anche ai sottoscritti), e smettere di comprare tutto ciò che non ci serve davvero (bandire il più possibile, per quanto possa suonare radicale, lo “shopping” dalle nostre vite).
Questo non come ripudio totale della società in cui viviamo, non come voto di rinuncia, ma come allenamento per ciò che ci attende nei prossimi anni (che, nonostante i proclami ottimistici di economisti e politici, non sarà recessione, ma depressione), ossia una decrescita che per i più sarà forzata, e probabilmente non così felice. Perché questa è forse l’unica forma di reazione, o addirittura di rivoluzione, che ci è rimasta nei confronti del marketing, della politica, della finanza e della crescita, che giocano sempre più con le nostre vite e che, più che delle persone, ci ritengono da parecchio tempo solo dei meri “consumatori”.
Esercitiamo quindi l’ultimo vero potere che abbiamo, che non è il nostro diritto di voto, ma quello che abbiamo appunto come “consumatori”: decidere cosa comprare e soprattutto cosa non comprare. E quando dobbiamo acquistare qualcosa, teniamo almeno presente i vecchi proverbi, sempre molto validi e molto attuali, tipo quello che dice che “chi più spende, meno spende”, provando a ridare in generale più importanza alla qualità, che alla quantità.