Nel cuore della stagione del tartufo, scriviamo di Nebbiolo, ossia il vino che meglio s’accompagna con tale prelibatezza: specie al tartufo bianco e pregiato di Alba. Il Nebbiolo è uno dei vitigni italiani più rappresentativi d’Italia, oltre ad essere uno dei primi documentati, già sette secoli fa. Dal XIV secolo è diffuso nell’Italia nord-occidentale, e specie nel sud del Piemonte, presso le Langhe: ove si producono i più longevi e deliziosi vini rossi d’Italia.

Anche quest’anno abbiamo visitato le Langhe varie volte, per assaggiare i migliori Nebbiolo, parte di cui durante la manifestazione Nebbiolo Prima. Tale evento è organizzato dall’Unione Produttori Vini Albeisa e permette di degustare centinaia di Nebbiolo (fortunatamente nell’arco di alcuni giorni) di diverse annate: Barolo, Barbaresco e Roero.

L’annata 2007 è caratterizzata da vini piacevoli, per nulla austeri, con aromi intensi e fascinosi. I vini sono meno corposi dei 2006, taluni già pienamente maturi e dunque squisiti, pur mancando della complessità di altre annate.

L’annata 2006 è caratterizzata da vini alquanto austeri, alcuni duri e ritrosi, anche a causa di malaccorte maturazioni in legno. I vini non mancano né di tannino né di acidità. I migliori cominciano ad ammorbidirsi soltanto ora, con tipici aromi balsamici al naso. Hanno comunque bisogno di qualche anno in più per compiacere.

L’annata 2004, presenta vini freschi e complessi, nel migliore dei casi equilibrati, che oggi cominciano ad essere maturi ed espressivi.

I migliori:

Roero (in totale circa 196 ettari vitati, da cui fra le 7 e 800 mila bottiglie prodotte)

2007: Flli.Rabino

2006 Riserva: Cascina Ca’ Rosa “Monpissano”; Cascina Chicco “Valmaggiore”; Taliano “Roche dra Brossora”

Barbaresco (in totale quasi 685 ettari vitati, da cui fra le 4 e 4,5 milioni di bottiglie prodotte)

2007: spiccano “Santo Stefano” e “Asili” di Bruno Giacosa, per quanto abbia più volte espresso i miei timori d’un probabile cambio di stile nelle prossime annate. Gustosi e caratteristici sia “Rabajà” di Giuseppe Cortese, sia “Montestefano” di Serafino Rivella. A seguire “Tre Stelle” di Cascina delle Rose, poi Rizzi coi cru “Nervo Fondetta” e  “Rizzi”; Massimo Rivetti con “Froi” moderno e succoso; Castello di Neive con “Santo Stefano” meno austero del solito; Adriano col grintoso “Basarin”; Taliano con “Ad Altiora”. E, in uno stile tecnico, il Barbaresco dei Produttori di Barbaresco

Barolo (in totale oltre 1800 ettari vitati, da cui oltre 11,5 milioni di bottiglie prodotte)

2006:  emblematico il “Cascina Francia” di Giacomo Conterno; molto buoni i cru “Cannubi” e “Acclivi” e “Monvigliero” di Burlotto; “Bussia” di Fenocchio a Monforte; da aspettare il Barolo di Bartolo Mascarello, come “Brunate Le Coste” di Giuseppe Rinaldi; buono anche il Barolo di Giuseppe Nada e “Chirlet” di Simonetta Scala; classico il “Bussia” dei Fl.lli Giacosa; gustoso il “Prapò” di Schiavenza a Serralunga; schietto il “Vigna Pugnane” di Franco Conterno

2004 e 2004 Riserva:  eccellente sarà “Monfortino” di Giacomo Conterno, semmai uscirà dalla botte; eccellente è già “Le Rocche del Falletto” di Bruno Giacosa;  deliziosi i “Villero” e “Monprivato” di Giuseppe Mascarello; esemplare il “Bricco Boschis Vigna San Giuseppe” di Cavallotto a Castiglion Falletto, quanto il “Vigna Liste” di Giacomo Borgogno a Barolo; succoso il “Bussia Munie” di Franco Conterno; convincenti il “Broglio” e il “Prapò” di Schiavenza; “Monvigliero” di Bel Colle a Verduno;  massiccio il “Brunate” di Marcarini; tannico ma buono il “Villero” di Boroli; bello anche il Barolo Riserva Livia Fontana.

Da segnalare anche l’eccellente 1999 Barbaresco Pajè Riserva di Roagna, in commercio soltanto ora. Poi il Barbaresco 2004 Riserva di Giuseppe Cortese. E il 2003 Barolo Cà d’Morisso di Giuseppe Mascarello, che ha bisogno di maturare ancora in bottiglia per esprimersi al meglio.

Ps: in una degustazione verticale di Monfalletto dell’azienda Cordero di Montezemolo, si sono potuti apprezzare gli straordinari 1958 (vino che non teme d’invecchiare ancora), 1971 e 1977, e l’ottimo 1988. Tanto che non capiamo i cambiamenti di stile delle ultime annate. Perché non continuare a fare vino come si è fatto per decenni?

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