Pressioni politiche, minacce, cause civili e ricatti. Giornalisti messi con le spalle al muro da regimi politici semi autoritari. E’ questa la fotografia sulla libertà di stampa scattata da Bruxelles ai Paesi che nei prossimi anni avvieranno o completeranno il percorso per entrare nell’Unione europea. Si tratta di Paesi che Freedom house classifica “parzialmente liberi”, proprio come l’Italia, che nel panorama dei 27 è attualmente in compagnia di Romania e Bulgaria.
Ma il recente rapporto sullo stato dell’allargamento redatto dalla Commissione europea si occupa dei Paesi che ancora non fanno parte dell’Unione. E il quadro che emerge è più che mai fosco: ci sono seri problemi nell’indipendenza e nel pluralismo dell’informazione. Si tratta di Turchia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Albania, Macedonia, Serbia, Kosovo e Montenegro. Discorso a parte per l’Islanda, ma nel nord Europa è tutta un’altra storia.
Difficile dire chi sta peggio. Forse la Turchia, dove la Commissione denuncia “un alto numero di violazioni alla libertà di espressione, cause civili contro giornalisti e frequenti chiusure di siti Internet”. Basti pensare che fino allo scorso ottobre Ankara aveva vietato l’accesso a Youtube dopo la messa al bando ordinata dal Governo e durata addirittura due anni. L’International Federation of Journalists denuncia che 40 giornalisti sono ad oggi detenuti in prigione “semplicemente per aver fatto il loro dovere con onestà e professionalità”. E poi il problema dell’antisemitismo, mai davvero scomparso dai media turchi (ricordiamo che la Turchia è a stragrande maggioranza musulmana).
E poi l’area balcanica, dove si fanno ancora sentire gli strascichi dei conflitti etnico religiosi che hanno scatenato la guerra degli anni Novanta. La Bosnia-Erzegovina è in pesante ritardo nell’attuazione del Freedom of Access to Information Act, che dovrebbe promuovere l’accesso alle informazioni pubbliche tenute segrete per anni dalle autorità. E nell’ultimo anno le cose non hanno fatto che peggiorare, secondo quanto riporta Freedom House che ha retrocesso la Bosnia di 51 posti nella sua classifica sulla libertà della stampa (da 47° a 98°). Innumerevoli i casi di ingerenza politica: la South East Europe Organization ha denunciato che il canale televisivo Alternativna Televizija ha ricevuto istruzioni scritte dal Socijaldemokratska Partija BiH (il Partito socialdemocratico bosniaco) sulle informazioni da dare durante l’ultimo mese di campagna prima delle elezioni di ottobre.
Problemi anche nel piccolo Kosovo, che nonostante indipendenza riconosciuta dal febbraio 2008, vede ancora la RTK, la principale emittente televisiva pubblica, nelle mani del vice Primo ministro. Sempre in Kosovo, secondo il rapporto della Commissione, le autorità politiche restano pericolosamente i maggiori inserzionisti dei media nazionali.
A Bruxelles risulta anche “una preoccupante mancanza di chiarezza nella proprietà dei media” in Albania e in Macedonia. Intimidazione di giornalisti e discriminazioni delle minorità Rom sono troppo spesso all’ordine del giorno.
In Serbia, intanto, si spara. Dopo il tentato omicidio di Dejan Anastasijevic, il reporter che si era occupato dei crimini di guerra di Slobodan Milosevic, gli episodi di violenza nei confronti di giornalisti si sono susseguiti con preoccupante regolarità, e raramente hanno dato seguito ad indagini serie e puntuali.
La Freedom House, nella sua classifica sulla libertà di stampa 2009, aveva catalogato tutti questi Paesi come “parzialmente liberi”. Ma se questa classificazione non pesa sulla presenza in Europa di Paesi come l’Italia, la mancanza di una piena libertà di informazione potrebbe invece compromettere l’intera procedura d’ingresso nell’Unione europea per chi si sta affacciando ora all’ipotesi di entrare a far parte dell’eurogruppo: “La libertà di espressione e dei media, parte integrante di ogni sistema democratico, resta una nota dolente e preoccupante nei Paesi candidati all’adesione”, ha dichiarato Štefan Füle, commissario Ue all’Allargamento.
Turchia, Croazia, Macedonia e Islanda sono ufficialmente “paesi candidati”, mentre Serbia, Bosnia-Erzegovina, Albania, Kosovo e Montenegro sono “potenziali candidati”. Per completare le negoziazioni di adesione, i Paesi candidati devono soddisfare tutti i 35 “capitoli” imposti dall’Ue: si tratta di requisiti minimi in termini di libertà civili, democrazia, diritti umani e libertà fondamentali.