Il Dg, "sfiduciato" dal 95% dei giornalisti e dei lavoratori iscritti all'Usigrai, apre l'indagine sulle spese pazze di Minolini. Lui accusa: "Vogliono intimormi". Dopo l'inchiesta del "Fatto" scoppia il caso dei rimborsi e dei servizi speciali del Tg1
Il consigliere Nino Rizzo Nervo ha presentato in Cda i due articoli del Fatto Quotidiano sul direttorissimo e Masi, per far tacere voci inconsulte, alza le mani: “Mi rivolgo al Collegio dei sindaci: avete i miei dati, sono a disposizione per verifiche sulla mia carta di credito”.
64 mila euro di soldi pubblici
Un’operazione trasparenza volontaria per frenare pettegolezzi, mostrarsi casto e puro con i conti aziendali e distinguersi con Minzolini che, senza scusarsi né pentirsi, in un anno ha speso 64 mila euro con una revolving di viale Mazzini, dieci volte in più di Mario Orfeo del Tg2. E sulla bocciatura dei giornalisti?
Passa, nemmeno guarda. Anche se la poltrona scricchiola e la reputazione pure: “Alla luce delle politiche aziendali esprimi fiducia al direttore generale Masi?”. Il sindacato Usigrai l’ha chiesto ai 1,878 giornalisti Rai: tra i 1.438 votanti, il 95 per cento (1.391) ha risposto no. L’indice di impopolarità di Masi rasenta lo zero tra i dipendenti (sondaggi, proteste, scioperi), ma il dg rifiuta il dissenso: “Come tutte le cose prive di rilevanza formale e sostanziale, il voto Usigrai (associato alla consueta compagnia di giro) può essere solo o una manifestazione politica o un tentativo di intimorire”. Ma sembra avere pochi dubbi: “Obiettivo fallito in entrambi i casi. Il primo perché non c’era bisogno di questo costoso evento per sapere come è schierata politicamente l’Usigrai e soprattutto nel secondo caso perché ci vuole ben altro e ben altri personaggi per provare soltanto ad intimorirmi”.
I sindacati chiedono le dimissioni
Il segretario Usigrai, Carlo Verna, alza la posta e invoca le dimissioni: “Masi deve lasciare. Lui fa capire che è pronto a minimizzare la nostra espressione e la riferisce all’Usigrai, un Paese democratico non può fare finta di nulla”. Voti, e non solo: “Il direttore generale ha messo in atto una serie di azioni negative. Il mancato accordo con Sky, mai spiegato in modo convincente, che ci fa perdere decine e decine di milioni di euro, un piano industriale che – aggiunge Verna – non prende corpo, indefinito nei suoi contorni e che ha prodotto come chiara espressione solo uno sciopero delle sigle dei lavoratori”. La Federazione dei giornalisti (Fnsi) è con l’Usigrai: “I dati sono di una chiarezza impressionante. Masi si è aggrappato all’assenza di rilevanza formale del voto. Ma la sostanza del risultato fischia nelle sue orecchie come un tempo che è scaduto”. Masi prova a restare in piedi tra le buche, la più grossa, una voragine sono i conti: senza tagli e manovre, entro tre anni, la Rai rischia 650 milioni di euro in rosso.
Viale Mazzini cerca uscite d’emergenza perché l’ora è disperata, Masi cerca una scialuppa di salvataggio – come scrive Milano Finanza – nelle casse del governo: il contratto di servizio che lega la Rai al ministero dello Sviluppo economico e giustifica la tassa chiamata canone di abbonamento. Il palinsesto Rai è diviso tra “programmi commerciali” (finanziati dalle pubblicità) e “programmi di servizio pubblico” (coperti con il canone): la gestione separata del bilancio ha provocato perdite di circa un miliardo di euro in tre anni e dunque, per scongiurare tagli di personale e settori, l’azienda presenta il conto al ministro Paolo Romani. Il ministero ha le chiavi per aprire una fonte vitale per la Rai: in una riunione con i dirigenti, aspettando un piano industriale, Masi aveva lanciato l’allarme per i creditori e le banche. Chi ha voglia di scommettere sulla Rai di oggi?
Da il Fatto quotidiano del 18 novembre 2010