L’arresto del boss dei casalesi Iovine spinge ad una seria riflessione, ma soprattutto rende necessario sgombrare il campo politico da tentativi scorretti di strumentalizzazione rispetto ad una battaglia imprescindibile, come quella alle mafie del Terzo millennio, dalla cui vittoria dipende non solo il compimento della democrazia, ma anche il suo sviluppo economico. Prima riflessione. Il ministro dell’Interno Maroni si comporta come un tempo si comportavano i democristiani più scaltri in Sicilia. La lotta al crimine organizzato attraverso le parole o qualche iniziativa per testimoniare l’impegno dello Stato davanti all’opinione pubblica: si potrebbe definire “l’antimafia fumo negli occhi”. Seconda osservazione. Accanto a questo, esiste una strategia più subdola e pericolosa, di cui il ministro Maroni è massimo esperto perché la pratica da tempo. Si tratta della strumentalizzazione impropria degli arresti e delle confische: queste operazioni merito di polizia e magistratura, frutto di anni e anni di lavoro delle procure e delle caserme, sono ridotte a successo del governo per volontà del governo stesso. Potremmo definirla “l’anti-mafia strumentale” oppure “l’antimafia impropria”.
Più in generale si potrebbe parlare di “antimafia-maquillage”, con cui la politica – nel caso il ministro Maroni- si costruisce la faccia nobile davanti ai cittadini, per poi evitare di toccare il nodo fondamentale e più scomodo: il rapporto fra mafie e politica oppure mafie ed economia. Non a caso non si provvede a varare una legislazione ferrea che riesca a stroncare queste relazioni insane, che danno ossigeno economico al crimine organizzato e lo legittimano, ma al contrario si sostiene una legislazione criminogena. Penso alla serie di norme –alcune approvate, altre tentate- costruite da questo esecutivo per volontà di un premier pluri-indagato e processato, che lo favoriscono e nel mentre favoriscono i colletti bianchi mafiosi, le cricche mafiose, l’imprenditoria opaca, la p.a. collusa, i clan stessi. Ddl intercettazioni, processo breve, sottoposizione pm a esecutivo e perdita di controllo sulla polizia giudiziaria. L’individuazione del latitante Iovene, ricordo, è stata possibile grazie anche agli ascolti telefonici e sicuramente un’intercettazione ne ha fatto scattare l’arresto. Eppure la Lega è stata corresponsabile di questa legislazione criminale ad hoc: ecco la sua maggiore contraddizione. Come è in contraddizione quando usa le mafie come argomento per screditare il Sud e giustificare operazioni “spacca paese” come il federalismo e la secessione (sempre minacciata da Bossi e i suoi). Le mafie, in particolare la ndrangheta, hanno radicato le proprie radici dovunque.
Le mafie cercano e fiutano il guadagno: le mafie fanno e sono business, in tutto il mondo e anche in tutta Italia (di cui determinano parte dello stesso Pil). Da tempo hanno dismesso la strategia militare, cercando l’infiltrazione finanziaria e imprenditoriale. Per farlo la politica –soprattutto le amministrazioni locali- è un interlocutore purtroppo naturale. Si fanno favorire e favoriscono, garantendo il consenso elettorale. Le mafie ancora sono portatrici insane di voti. Si comprende come il Nord ricco e produttivo, il suo tessuto industriale, le opere pubbliche nel campo dell’edilizia e gli eventi speciali (dalla Tav all’Expò), le bonifiche, lo smaltimento a basso costo (quindi illecito) dei rifiuti industriali, le società miste pubblico-private che godono di appalti regionali in vari settori, la sanità: tutto questo è fonte di arricchimento su cui vogliono mettere le mani e per mettere le mani l’aiuto politico e amministrativo è indispensabile. Per farlo, passaggio obbligato è la conquista di referenti politici, a livello locale e nazionale, per essere predilette in un appalto pubblico o per godere di una speculazione edilizia. Lo ha confermato l’indagine delle procure di Milano e Reggio Calabria, che hanno portato in luglio all’arresto di 300 affiliati della ‘ndrangheta che operavano stabilmente nel Nord. Non solo boss ripuliti, ma imprenditori e amministratori, tecnici della p.a. Lo ha riferito nella sua relazione al parlamento la stessa Dia, affermando che nel Nord e soprattutto in Lombardia esiste una “costante e progressiva evoluzione’ della ‘ndrangheta che, ormai radicata da tempo su quei territori, interagisce con gli ambienti imprenditoriali lombardi”.
Ma non lo può dire Saviano in tv davanti a 9milioni di spettatori, perché lo scatto di nervi padano si trasforma nel fuoco verbale di Maroni contro lo scrittore: attaccato, minacciato di querela, screditato. Sostenere che le mafie hanno ramificazioni economiche al Nord, in particolare in Lombardia, e sostenere che, come accade ovunque, cercano l’interazione con la politica, significa infatti chiamare in causa la Lega , cioè la prima forza partitica in quella porzione d’Italia che si sente moralmente superiore al Sud proprio per questa presunta e falsa immunità, protagonista della crociata parolaia della legalità. Saviano ha cucinato un boccone amaro per la Lega , indigeribile in un momento in cui si fa sempre più prossima la campagna elettorale. Dunque Saviano va punito. Resta la verità: la battaglia alle mafie è nazionale, perché il loro radicamento è su tutto il territorio. La politica? Trasversalmente oggetto di infiltrazione e collusione, che deve mondarsi e non aver paura di ammettere la sua permeabilità. Almeno se la battaglia vuole vincerla.