“Silvio Berlusconi negli anni 70 e 80 preferiva accordarsi con la mafia piuttosto che denunciare le estorsioni alle autorità”. E’ una delle conclusioni a cui sono arrivati i giudici della corte d’appello di Palermo presieduta da Claudio Dall’Acqua nelle motivazioni della sentenza di condanna in secondo grado del senatore del Pdl, Marcello Dell’Utri.
“Vi è – scrivono i giudici in un capitolo delle motivazioni – un’indiretta conferma del fatto che anche Silvio Berlusconi in quegli anni lontani, pur di risolvere quel tipo di problemi, non esitava a ricorrere alle amicizie “particolari” dell’amico siciliano che gli garantiva la possibilità di fronteggiare le ricorrenti richieste criminali riacquistando la serenità perduta ad un costo per lui tollerabile in termini economici”.
“Eloquente al riguardo lo sfogo che il Berlusconi ebbe, ben dodici anni dopo le minacce dei primi anni ’70 cui aveva fatto fronte rivolgendosi al Dell’Utri, nel corso della conversazione telefonica del 17 febbraio 1988 con l’amico Renato Della Valle al quale, commentando recenti intimidazioni subite che lo preoccupavano considerevolmente (“c’ho tanti casini in giro, a destra, a sinistra. Ce n’ho uno abbastanza grosso, per cui devo mandar via i miei figli, che stan partendo adesso per l’estero, perché mi han fatto estorsioni… in maniera brutta . … Una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa , e… Sono ritornati fuori. … siccome mi hanno detto che, se, entro una certa data, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio a me e espongono il corpo in piazza del Duomo… E allora son cose poco carine da sentirsi dire e allora, ho deciso, li mando in America e buona notte”) ebbe ad affermare esplicitamente che, pur di stare tranquillo, non avrebbe esitato a pagare (‘ma io ti dico sinceramente che, se fossi sicuro di togliermi questa roba dalle palle, pagherei tranquillo , così almeno non rompono più i coglioni’)”.
“Lo stesso Berlusconi qualche anno prima peraltro, stavolta con tono scherzoso, aveva ribadito l’atteggiamento, all’epoca assai diffuso tra le vittime di estorsioni, secondo cui per stare tranquilli era preferibile pagare. Conversando con Marcello Dell’Utri la sera del 29 novembre 1986, poche ore dopo l’esplosione dell’ordigno collocato sulla recinzione della villa di via Rovani a Milano, Silvio Berlusconi, ridendo, riferiva al suo interlocutore il contenuto del colloquio già avuto con i Carabinieri di Monza incaricati delle indagini ai quali aveva detto che, se coloro che avevano compiuto il danneggiamento gli avessero chiesto trenta milioni invece che mettere la bomba, egli non avrebbe avuto difficoltà a pagare, suscitando ovviamente le stupite reazioni degli inquirenti che lo avevano invece invitato a resistere alle richieste estorsive (‘Stamattina gliel’ho detto anche ai carabinieri……gli ho detto: ‘Ah, si? In teoria, se mi avesse telefonato, io trenta milioni glieli davo!’ (ride). Scandalizzatissimi: ‘Come, trenta milioni? Come? Lei non glieli deve dare che poi noi lo arrestiamo!’. Dico: ‘Ma no, su, per trenta milioni!’ (ridono) pag.12 vol.1 faldone 76)”.
Si legge ancora nelle motivazioni: “E si consideri che le suddette conversazioni intervengono in anni in cui, come già detto, l’imprenditore Berlusconi si era già circondato di un considerevole sistema di sicurezza a mezzo di guardie private che evidentemente non era sufficiente a garantirlo ed a tranquillizzarlo nel momento in cui continuavano a pervenirgli minacce di morte e richieste estorsive che egli esplicitamente non escludeva di accettare. Si ha conferma quindi che almeno in quegli anni ’70 e ’80 il Berlusconi, pur di stare tranquillo, preferisse trovare soluzioni accomodanti subendo ed accettando richieste estorsive piuttosto che rifiutarle denunciando i fatti all’Autorità”.