Si chiama Democracy in Haiti un documentario girato interamente nell’isola caraibica dove si è oramai superato il numero di 1.000 morti nel triste bilancio delle vittime colpite dall’epidemia di colera scoppiata ad Haiti, il tormentato paese colpito lo scorso gennaio da un devastante terremoto.
Come se non bastasse, nell’isola – già vittima di un’arretratezza cronica che nessun governo e nessun aiuto internazionale ha saputo guarire, neanche la multimilionaria (in termini di costi) missione dell’Onu che ha fallito nella stabilizzazione sociale e politica – adesso la natura del morbo inizia a manifestarsi provocando reazioni violente, la collera, cosicché all’improvviso le disgrazie di un paese assumono le sembianze di una singola persona, si polarizzano nella tragedia di un uomo, di un vecchio o nel volto di un bambino. Nonostante tutto c’è chi non si abbatte, rinfocolando quella fiammella di speranza che non è ancora spenta.
“Democracy in Haiti” si pone l’obiettivo di raccontare come l’hip-hop possa essere un mezzo di comunicazione alternativo ai media tradizionali: laddove non esistono più televisioni e giornali, sono i rappers a raccontare la realtà, agli angoli delle strade, con la propria voce, le proprie idee.
Tra questi, la casa discografica indipendente Nomadic Wax, che ha convogliato le forze di artisti provenienti da ogni parte del mondo al fine di raccontare la tragedia dell’ex colonia francese colpita da oltre 200.000 morti e 300.000 feriti.
Tra gli artisti della Nomadic Wax che curano il progetto c’è anche un italiano, Federico Erik Rosa noto come dj Nio Siddartha, artista facente parte del gruppo hip hop Zero Plastica che collabora con la casa discografica per la creazione di documentari. Attraverso il racconto delle realtà hip hop dei paesi in difficoltà, Nio tenta di illustrare le problematiche sociali e politiche mostrando i lati più crudi di realtà sfortunate, fondendole con la musica e le immagini di testimonianze e racconti.
“Per la distribuzione di questo documentario servono donazioni volontarie e l’aiuto di tutti. Abbiamo già raccolto 3.504 dollari attraverso donazioni di amici, ma ce ne servono ancora 1.246 per arrivare all’obiettivo che ci siamo preposti. Abbiamo già girato diversi documentari, in Senegal e Venezuela e come per questo lavoro su Haiti, vogliamo mostrare il paese e la sua musica, concentrando l’attenzione su come l’hip hop possa rappresentare un cambiamento sociale e avere un peso politico, in vista anche delle prossime elezioni presidenziali”.
“Democracy in Haiti” racchiude in sé diverse storie e testimonianze di vittime del terremoto e mette in luce il ruolo del rap come “CNN del ghetto” – come la definisce Chuck D dei Public Enemy -, “voce dei senza voce”. Haiti era già in uno dei Paesei più poveri al mondo, ancor prima del terremoto; metà della sua popolazione ha età inferiore ai 18 anni e non è rappresentata in alcun modo dalla vita politica. Il rap costituisce un mezzo informativo e critico per tutti questi ragazzi.
Il sogno dunque è sempre vivo: credere che la musica possa davvero cambiare le cose lottando senza stancarsi in questa direzione. Ad Haiti, oltre alla paura fisica poi, si va aggiungendo la superstizione con la popolazione che in ogni segno del destino scorge l’influenza delle forze divine da placare con sacrifici, con riti propiziatori e diffidando delle cure degli stranieri. C’è bisogno di rimboccarsi le maniche: d’altronde, come si fa a non essere superstiziosi e non arrendersi a molteplici divinità in un paese la cui storia è costellata da sangue e tragedie prodotte da una dittatura feroce e da una tradizione caratterizzata dalla schiavitù dei neri nelle piantagioni dei padroni bianchi occidentali?
V’invito a prender visione del video linkato per capire ancora meglio. Vive le Rap! (in questo caso…)