La freddezza e la reattività del padre, la vita da accampati, la solidarietà vera, l'impegno della maestra. E la fine la meschinità umana
Per noi che mantenevamo le abitudini del nord, di cui eravamo originari in un inconsueta emigrazione verso sud, era quasi ora di cena. Avevo 9 anni e con la mia famiglia quella sera andavo a cena fuori. La scossa ci ha colti mentre uscivamo dalla porta di casa, con i cappotti addosso. Una bella fortuna visto il freddo che venne in quei giorni. Tre piani di scale in un lampo, abbiamo ascoltato e sentito il lunghissimo terremoto stando all’aperto, al sicuro, guardando la nostra casa che chissà se avrebbe retto.
Non ho idea di cosa possa essere passato per la testa dei miei genitori in quei lunghi precari istanti. Noi eravamo piccoli, ricordo la sensazione assolutamente incosciente di vivere un’avventura emozionante, unica, entusiasmante. Così come ci sembrò favolosa la neve che venne qualche settimana dopo, devastando la vita di chi aveva perso la casa. Ma per noi che non la vedevamo mai era un evento memorabile.
Ricordo con ammirazione la lucida reattività di mio padre, subito consapevole di quello che succedeva, che ci guidava rapidamente verso la sicurezza senza tralasciare di impedire ai dirimpettai di infilarsi in ascensore. Ricordo nei giorni immediatamente successivi le sue volate in casa per pochi secondi, con tutta la famiglia che aspettava giù trepidante, due coperte, una giacca a vento, le piccole cose preziose solo quando mancano. E poi le decisioni rapide e operative, preparare le auto per dormirci dentro, radunare tutto il vicinato per organizzarsi insieme, le azioni per procurarsi cibo e latte per tutta quella piccola comunità rapidamente, profondamente solidale.
Ricordo le spedizioni dei “grandi” che ritornavano con un po’ di vettovaglie da distribuire, raccontando con tristezza di mercato nero e macerie, e consolandoci di essere fortunati in quel quartiere che aveva retto benissimo, rispetto al resto. I grandi che si davano da fare per aiutare a costruire la tendopoli, allestita nel campo sportivo, e che si indignavano perché avevano dovuto attendere per giorni il permesso dalla società della squadra di calcio locale, che aveva paura che si rovinasse il prato.
E le nostre due tende da campeggio montate, dove possibile, per dormire un po’ più comodi. Riempite di bambini e di persone che fino al giorno prima si davano del lei. E le serate attorno a un fuoco improvvisando giochi e spettacoli di varietà, con questi adulti che tornavano bambini, pur di farci mantenere alto lo spirito. Ricordo tanta solidarietà vera, ricordo di aver visto nascere legami che vivono ancora oggi, nonostante ormai da 25 anni siamo ripartiti per tornare alle origini, nel modenese.
Ricordo la mia meravigliosa maestra, Rosa Caponetto, che pochi giorni dopo aveva già contattato tutta la sua classe – ero in quinta elementare – e organizzava le lezioni a turno nelle case di quei genitori che si offrivano di ospitarla, nell’attesa che si trovasse un’alternativa alla scuola lesionata. Le lezioni più belle della mia vita, con le mamme ospiti che si premuravano di preparare una torta o pane e nutella per tutti. Ci ha portati all’esame di quinta senza farci perdere praticamente nemmeno un giorno di lezione. Un punto a favore del maestro unico… sempre che abbia la stoffa della mia maestra!
Ricordo il ritorno alla realtà, alcuni giorni dopo. I luoghi, la chiesa che frequentavo in macerie. I puntelli contro i muri, le impalcature invadenti, le facciate deturpate, e soprattutto i mucchi di macerie sbriciolate che raccontavano una violenza che a noi, fortunatamente, non era toccata. Gli alberghi pieni di sfollati, le tendopoli, i container, le nostre due tende, lasciate a disposizione di chi aveva ancora paura di tornare in casa, rubate e finite probabilmente al mercato nero.
Il buono spariva rapidamente inghiottito dalle meschinità umane. Ricordo i mesi successivi, i discorsi e le polemiche dei grandi, sugli aiuti, sulla gestione del denaro, sugli approfittatori e gli sciacalli che rubavano a chi di aiuto aveva veramente bisogno. Le malefatte di pochi che, purtroppo, sono arrivati rumorosamente fino ad oggi oscurando l’esistenza di un’umanità meravigliosa, onesta, generosa e solidale.
Paolo Vanzini
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