Tony Hayward, ex amministratore delegato della British Petroleum (BP) , sembra deciso a passare dal ruolo di ”carnefice ecologico” a quello di vittima delle circostanze. A un mese e mezzo dalla milionaria rimozione dal suo incarico, infatti, ha deciso di sfogare la sua frustrazione davanti agli studenti universitari di Cambridge. Hayward ha ammesso che la sua compagnia era assolutamente impreparata a fronteggiare la catastrofe che ha regalato al Golfo del Messico l’indimenticata “marea nera”, lamentandosi però della durezza di un’opinione pubblica che, durante quegli interminabili mesi, vedeva sia lui che la BP solamente come “maldestri ed incompetenti”. Un estremo tentativo di rivalsa e di recupero della propria immagine, minato però dalle dichiarazioni di un operaio scampato all’esplosione dello scorso 20 aprile sulla Deepwater Horizon: la BP sapeva che il sistema di sicurezza della piattaforma aveva dei problemi, ma non ha fatto nulla per risparmiare sui costi.
Il manager inglese, nell’evidente tentativo di resuscitare la sua reputazione, davanti agli studenti del prestigioso ateneo ha potuto dare la sua versione dei fatti. È stato per lui “imbarazzante”, ha detto, trovarsi improvvisamente al centro della cronaca dei media globali e sulle prime pagine di tutti i giornali. «I nostri sforzi hanno compreso incredibili opere di pianificazione, completate nell’arco di giorni mentre avrebbero richiesto mesi, con numerose ed importanti innovazioni dai durevoli benefici. Ma poiché ogni nostra mossa era esaminata in tutto il mondo, – ha precisato – ciò che il pubblico ha pensato di vedere erano solo goffaggine ed incompetenza».
Ciò che lo ha scosso maggiormente, però, è stato «l’avere visto quanta devastazione può essere scatenata da un singolo incidente in una piccola parte delle operazioni di una compagnia gigantesca – un incidente che oltretutto non sarebbe nemmeno dovuto accadere, secondo le previsioni». Devastazione causata da un singolo incidente. Proprio così. Curioso notare come gli oggetti della commiserazione di Hayward non siano le (vere) vittime di un incidente che, sarebbe opportuno ricordare, ha ucciso 11 operai, rovinato centinaia di imprese, compromesso per decenni gli ecosistemi e rappresentato la più grave catastrofe petrolifera della storia americana. Un disastro che ha portato la BP stessa sull’orlo del fallimento, di cui non si riescono a calcolare con precisione nemmeno i danni, economici quanto ambientali.
Al di là di questo, l’ex capo di BP ha ammesso che il colosso britannico era completamente impreparato ad affrontare l’incidente avvenuto nel Golfo del Messico, tanto che i piani di contingenza per affrontare la catastrofe erano del tutto inadeguati: «Mentre eravamo in grado di rispondere alla necessità di contenere e disperdere il petrolio sulla superficie marina, non avevamo attrezzature per fare lo stesso sui fondali. In effetti queste attrezzature non sono mai state progettate o costruite. Semplicemente non esistono». Di sicuro le affermazioni di Hayward infiammeranno a lungo il dibattito sia nel mondo ambientalista che in quello politico; soprattutto ora che il Presidente Obama ha (già) ridato il via libera ad esplorazioni e trivellazioni al largo delle coste americane, e che in Europa si stanno valutando proprio in questo periodo i limiti da apporre alle esplorazioni nei mari del vecchio continente.
L’industria petrolifera, come quella nucleare, ha sempre ribadito il fatto che la sicurezza viene prima di tutto. Ma le recenti affermazioni dell’ex-boss di BP mettono in discussione questo aspetto dato quasi per scontato. Affermazioni amplificate da un documentario andato in onda la scorsa settimana sulla BBC, nel quale Hayward dice candidamente che se avesse voluto essere più efficace nelle spiegazioni all’ostile pubblico americano avrebbe dovuto studiare recitazione presso la Royal Academy of Dramatic Art, invece che geologia all’Università di Edimburgo. Riguardo al fatto di essere stato criticato più volte, nei mesi addietro, per i suoi commenti offensivi o inopportuni, ha invece concluso dicendo: «Ho sempre sinceramente creduto che qualunque cosa avessi detto non avrebbe modificato le conseguenze per BP».
Sembra proprio che nulla possa scalfire le convinzioni di quest’uomo, questo “manager vecchio stampo” (ora “non-executive director” della joint venture anglo-russa TNK-BP), più preoccupato delle conseguenze per la sua compagnia (ed i suoi azionisti) che di quelle per l’ambiente e le popolazioni coinvolte in una delle peggiori catastrofi ambientali della storia umana. Una tragedia di cui, al di là delle opinioni e dei vittimismi più o meno leciti, le responsabilità restano ancora tutte da chiarire, e da ricercare all’interno della British Petroleum, la compagnia che l’ha causata. Responsabilità ancora più grandi e dai risvolti decisamente inquietanti, se si pensa che la sciagura si poteva evitare.
La storia è nota, ma vale la pena ricordarla. Tyrone Benton, un operaio della Deepwater Horizon sopravvissuto all’esplosione della piattaforma dello scorso 20 aprile, affermò poco dopo la tragedia che il colosso petrolifero era a conoscenza dei problemi al sistema di sicurezza, il Blowout Preventer (BOP), accusando la propria azienda di averlo saputo già alcune settimane prima che questo esplodesse. Il BOP è un dispositivo utilizzato nella perforazione petrolifera con il compito di mettere in sicurezza i pozzi durante la perforazione, nel caso in cui i fluidi presenti nel sottosuolo dovessero accidentalmente migrare all’esterno. Ha la funzione di chiudere il pozzo in situazioni di emergenza, otturando la sua sezione in caso di blowout, appunto, ed impedendo la fuoriuscita di gas o idrocarburi dallo stesso (riducendo così il rischio di incendi o esplosioni, oltre che di asfissie o avvelenamenti per il personale). Insomma, ha la possibilità, in caso di pericolo, di bloccare il flusso di petrolio dalla condotta principale, in modo da evitare disastri come quello accaduto. Un BOP che aveva dei problemi, sulla piattaforma BP, ma che è stato ignorato.
Quelle dell’operaio superstite sono accuse gravi: «Abbiamo notato una perdita sull’unità di controllo – aveva affermato Benton alla BBC quando rilasciò queste dichiarazioni – e abbiamo informato gli uomini della compagnia: si trovavano in una postazione dalla quale potevano spegnere l’unità e accenderne un’altra, così da non dover necessariamente interrompere la produzione». E così è stato fatto, attivando un’altra unità di produzione. Ma ignorando il Blowout Preventer. Perché? Perché andare a toccare il sistema di sicurezza «sarebbe costato alla BP 500 mila dollari al giorno». Una spesa imprevista, ma soprattutto una potenziale brutta sorpresa per i propri azionisti al momento della spartizione degli utili. Che, per essere evitata, ha portato i vertici BP a decidere di lasciar perdere. Vertici che oggi, attraverso colui che ne era a capo, si lamentano dell’inflessibilità dell’opinione pubblica mondiale.
di Andrea Bertaglio