Lo strappo di Mara Carfagna nei confronti del Governo Berlusconi può essere interpretato seguendo almeno due piani di lettura.
Il primo, squisitamente politico e legato a dinamiche di potere non chiare e dunque non analizzabili in modo oggettivo, è ancora provvisorio e dunque potrebbe essere teoricamente depotenziato. Anche se le dichiarazioni del Ministro La Russa e l’ammissione di un “caso-Cosentino” certificano la necessità, da parte del Premier, di dover prendere decisioni che, in qualunque caso, comporteranno un danno al Governo.
Berlusconi dovrà scegliere tra due sistemi di gestione dell’emergenza campana apparentemente inconciliabili: quello “fuori dal potere” rappresentato da Cosentino e Landolfi, un sodalizio pronto, secondo le ricostruzioni giornalistiche, a riempire la Campania d’immondizia e di miasmi durante la prossima, imminente campagna elettorale; o quello “dentro il potere” rappresentato da Stefano Caldoro, neo-governatore della Campania (con un botto di voti) e Mara Carfagna, ministro di Salerno nonché candidata consigliere regionale, sempre in Campania, in qualità di specchietto per le allodole. Uno specchietto, per intenderci, da 58mila preferenze, risultato storico per la Repubblica Italiana e tanto più imponente se pensiamo che la sua rivale del momento, Alessandra Mussolini, ne ha presi “solo” 9mila nella stessa tornata elettorale.
Dietro le due proposte politiche alternative (più poteri ai presidenti della Provincia, tutti di centro-destra, nel modello Cosentino; più poteri al presidente della Regione e ai sindaci, tra cui Iervolino e Di Luca, di centrosinistra, nelle intenzioni della Carfagna) esistono interessi così grandi e scarsamente trasparenti da rendere complicata qualunque scelta. Il gioco, per Berlusconi, è comunque a perdere.
La decisione definitiva in realtà non è ancora stata presa: lo denuncia il presidente Napolitano questa mattina. Il decreto oggetto del contendere non è stato neanche scritto. La mossa della Carfagna è, dunque, meramente tattica ed è operata all’interno di una trattativa che si preannuncia durissima. Lo dimostra l’atteggiamento decisamente più conciliante che il ministro delle Pari opportunità ha mostrato oggi, arrogando la risoluzione della crisi a sé e al dialogo diretto con Berlusconi, un po’ come avrebbe fatto Cosentino recandosi a Palazzo Chigi su tutte le furie qualche giorno fa.
Ciò che non emerge da questo pezzo di storia è il secondo piano di lettura possibile: quello semiotico, quello senza punto di ritorno. Mara Carfagna, non si sa quanto coscientemente, sta sfruttando il suo ruolo di simbolo del berlusconismo vincente per alzare la posta. Ed è assai sorprendente l’atteggiamento molle e distaccato del premier da Lisbona, che si è ritrovato costretto, anche piuttosto goffamente, a chiamarla “signora”, come se il ministro non fosse stato una sua personale e geniale invenzione.
Mara Carfagna oggi, però, è molto più di un ministro: è il simbolo di un sistema di potere. All’interno della sua biografia racchiude molte delle modificazioni genetiche della nostra opinione pubblica. E Berlusconi ha utilizzato la carriera della Carfagna per inoculare almeno un paio di vaccini che ci sono entrati sottopelle.
Il primo, il più devastante: l’idea, mai esplicita e sempre vagamente tratteggiata, che se scendi a patti con i potenti diventi potente a tua volta. Questo assioma è la prosecuzione del modello Lele Mora, del modello Grande Fratello, di quell’intreccio tra politica, sesso, infotainment, spettacolo e popolarità, sottovalutato e ancora non affrontato dall’opposizione, quasi a marcarne una arrogante distanza morale. Nessuno è padrone dei motivi per cui la Carfagna abbia conosciuto una carriera così fulminante, tutti alludono e accennano, tutti pensano a una cosa sola. Mentre gli uomini si impegnano in sordide ricostruzioni velate di deprimente maschilismo, le donne provano a ribattere con un mix di (giustissima) volontà di tutela di genere e (naturalissima) invidia irrazionale per quella scalata fatta senza sforzo. Dentro queste reazioni non esiste alcuna possibilità per l’attribuzione di un qualche talento o merito politico: se sei velina lo sei per sempre, non sei e non sarai mai dotata di cervello. Ma questo modello, quel maschilismo da caserma è però lo stesso creato dalla videocrazia berlusconiana che ha interesse nel ridurre ogni figura a figurina.
Ed è questo il corto circuito improvvisamente inceppato: si rompe l’idillio secondo cui una donna che, teoricamente, è stata creata da un Re ne sarà anche la sua più fedele copia. Questo strappo distrugge in un sol colpo questo modello e in teoria ne ribalta addirittura i codici: assumendo che la Carfagna sia diventata ministro perché è scesa a patti, oggi appare assai più furba di Berlusconi, che oggi risulterebbe un uomo di potere usato alla stregua di un ascensore. Se invece la Carfagna è lì per un suo merito politico, ha in ogni caso svelato che quel modello che Berlusconi ha provato a introiettare attraverso il ministro, le scuole di politica per distinte signorine, il ciarpame senza pudore (che Berlusconi ha fatto passare per strumento positivo politicamente attraverso la modella-Carfagna) non è una garanzia di controllo dei posti di potere e, anzi, oggi diventa un invito a persone senza scrupoli a salire sulla giostra del berlusconismo per provare a ricavarne il massimo.
Il secondo, strettamente connesso al primo, è legato alla improvvisa perdita della possibilità da parte di Berlusconi di auto-descriversi come vero liberale, capace di riprodurre nuova classe dirigente, a differenza di tutti i suoi oppositori politici. Mara è diventata ministro a 33 anni (in quanti a sinistra, potrebbero farlo oggi?), Mara è bella (e questo, a sinistra, è storicamente una colpa e anche un motivo di automatica sottovalutazione dell’avversario politico), Mara è una delle poche ministre che ha provato a mettere insieme provvedimenti bipartisan, in particolare sull’omofobia.
Perdere la Carfagna, e cederla a Fini e Bocchino, rappresenterebbe una devastante sconfitta politica. Preferirgli Cosentino rappresenterebbe plasticamente ciò che tutti gli analisti dicono da un mese a questa parte: Berlusconi è ricattabile, è schiavo di moltissime spinte, dalle donne alle corporazioni, dai segretari regionali agli interessi particolari, dalle politiche nazionali agli incidenti sui territori.
Se lo strappo politico potrà essere colmato, il danno appare invece irreversibile all’interno dei codici del sistema di potere berlusconiano. Il premier, ancora una volta, scopre di non potersi fidare più di nessuno e, probabilmente, dovrà convivere con il terribile presentimento di non essere stato lui, in queste transazioni a base di soldi, sesso e potere di cui lui si è mostrato orgoglioso, virile, italico portavoce, a giocare il ruolo dello sfruttatore.