Dividere le persone in categorie non è intelligente. Quando si crea un “altro”, inevitabilmente si finisce per essere a nostra volta “altri”: gli altri dell’altro. Però è sbagliato fare di tutta l’erba un fascio. C’è almeno un criterio di suddivisione antropologica che è talmente innato e istintivo che viene spontaneamente usato anche dai bambini. Che infatti, fin da piccoli, vengono messi davanti a una lavagna con un gessetto in mano, a tirare una linea netta, decisa, perentoria che divide il mondo in due: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra.
Non c’è bisogno di spiegare a un bambino come distinguere un buono da un cattivo. Lo sa. Il compagno di banco che divide con lui la sua merenda è buono. Quello che gliela ruba è cattivo. Non c’è spazio per nessuna ermeneutica. La complicata situazione familiare del piccolo bulletto o del cleptomane in fasce non incide sulla visione che l’alunno ha del suo compagno così prevaricatore e prepotente, e in fin dei conti non sposta di una virgola i termini del suo problema. E poi, dividere il mondo in buoni e in cattivi non è pericoloso come dividerlo in cristiani e musulmani. Nel secondo caso, entrambi si sentono buoni e, per dimostrarlo, se le danno di santa ragione. Nel primo caso invece non accade nulla di particolare: per definizione, infatti, un buono non può fare del male a un cattivo, mentre un cattivo continuerà a fare il suo mestiere esattamente come prima. Però è importante che i buoni sappiano di esserlo, perchè il cattivo è talmente abile che riesce facilmente a scombinare gli elenchi, togliendo così al buono perfino la consolazione di essere tale. Così, i buoni possono diventare cattivi e i cattivi diventare buoni senza che ci sia un buono abbastanza cattivo da rimettere le cose a posto. Allora, giusto per schiarirsi le idee, ecco una piccola guida semiseria introduttiva, qualche idea di massima che siete chiamati ad integrare con la vostra istintiva percezione della vita e delle sue evidenti ovvietà.
A grandi linee, i buoni sono quelli che ti guardano negli occhi. I cattivi di solito fissano un punto lontano e prendono tempo, perché hanno bisogno di un’elaborazione intermedia tra la verità e la versione che vogliono darne. Il contatto diretto tra gli occhi crea un corto circuito tra le parole e i pensieri reciproci che rende molto difficile dire una cosa e pensarne un’altra.
I buoni usano parole semplici. I cattivi parlano difficile apposta: fanno giri di parole tortuosi e incomprensibili per confondere i buoni. Questo non vuol dire che i buoni siano stupidi ma solo che, essendo buoni, se confondono gli altri ritengono giustamente di non essersi espressi bene, perché il loro fine è comunicare, mettere in comunione le idee, mentre al contrario il fine dei cattivi è appropriarsene per mascherare le loro vere intenzioni.
I buoni quando giocano a scacchi con un cattivo perdono sempre, perché giocano con 8 pedoni, 2 torri, 2 cavalli, 2 alfieri, un re e una regina. I cattivi viceversa hanno a disposizione 16 regine.
Ai buoni piacerebbe essere cattivi almeno un giorno nella loro vita, quando non ne possono più. I cattivi, al contrario, per sfogarsi non dicono mai: “Da domani divento buono, così ve la faccio vedere!”
I buoni, se provano a convincere un cattivo a diventare buono, lo fanno nel suo interesse. I cattivi, se provano a convincere un buono a diventare cattivo, lo fanno per il loro proprio interesse.
I buoni, per intenderci, sono quelli che a piazzale Loreto si mettevano la mano davanti agli occhi perché non potevano neppure guardare, figuriamoci se avrebbero potuto vendicarsi con le proprie mani.
I buoni non hanno una lira, perché è inutile prendersi in giro: i soldi non fanno la felicità, ma neppure il contrario.
Dopo un crack finanziario, il buono è quello che ha perso tutti i risparmi.
Se vedete tanta gente in cima a una montagna che si agita e si accalca intorno ad un unico punto, il buono è quasi sempre quello sulla croce.
Il buono può perdonare il cattivo per le sue cattiverie; il cattivo non perdona al buono la sua bontà.
Se c’è un pericolo imminente, il cattivo è quello che viene avvisato per primo, mentre il buono è sempre l’ultimo a sapere le cose. Per esempio sul Titanic i buoni erano quelli chiusi nelle cabine e i cattivi quelli già sulle scialuppe. A L’Aquila i buoni erano quelli sotto alle macerie o in tenda, mentre i cattivi avevano già sgomberato gli edifici.
Un cattivo, in seguito a un forte shock, può redimersi e diventare incredibilmente buono, ma un buono non può diventare davvero cattivo, mai. Allora perchè i cattivi, a lungo andare, non si estinguono? Perché ne basta uno solo a sopraffare cento uomini buoni, sempre per il fatto che gioca con 16 regine sulla scacchiera. In effetti, in un mondo di buoni il cattivo diventa immediatamente re.
Se scoppia una guerra, i buoni sono quelli in prima linea e i cattivi quelli che ce li mandano. Ci riescono minacciandoli di morte. Curioso: “Se non vai a morire spontaneamente, ti ammazzo io.”
Durante una manifestazione, paradossalmente i buoni sono quelli arrabbiati. Non si è mai visto un cattivo manifestare contro un buono. Non ne ha bisogno.
Se c’è una signora a terra, ben vestita, disarmata, visibilmente scossa, il cattivo è quello in piedi con il casco e il manganello.
Un qualsiasi contratto scritto non è altro che una dichiarazione di schiavitù che il buono si infligge autonomamente, perché sarà il solo obbligato a rispettarne i termini. La legge infatti è uguale per tutti, certo, ma solo per tutti i buoni: i cattivi ne sono notoriamente al di sopra. Tutt’al più, essi si occupano di scriverla e si assicurano che i buoni la rispettino.
In una discussione, il buono è quello che ascolta attentamente e aspetta il suo turno. Il cattivo è quello che parla quando tocca a lui, e anche quando tocca agli altri…
Al contrario di quello che potrebbe sembrare, il buono non è quello che ride sempre. Se vedete uno che ha sempre il sorriso sulle labbra, state pur certi che quello è il cattivo.
Per quanto si sforzi di apparire rassicurante, il lupo si riconosce perché è quello che alla fine mangia l’agnello. Ma i lupi peggiori sono quelli che non li mangiano subito. Piuttosto, li organizzano in greggi e offrono loro un ovile, per mangiarli poi uno alla volta con calma, quando hanno fame, senza bisogno di cacciare.
Il buono fa solo promesse che è sicuro di riuscire a mantenere. Il cattivo promette sempre qualsiasi cosa, perché quello che conta per lui non è rispettare la parola data, ma ottenere immediatamente gratitudine da scambiare con un maggiore vantaggio. Il senso dell’onore è un’invenzione che lega le mani al buono e le libera al cattivo, che per definizione può non averne senza essere tenuto a dichiararlo.
Se le strade di una città sono ricoperte di spazzatura, i buoni sono quelli che vi si aggirano a piedi con i bambini per mano. I cattivi sono quelli che promettono di fare pulizia in tre giorni.
In un ordinamento civile, i buoni sono quelli che saltano per aria, poichè algebricamente di segno opposto a quelli che le bombe le hanno messe, che senza ombra di dubbio non possono che essere i cattivi.
Se uno cerca di sembrare buono a tutti i costi, allora è cattivo. I buoni, infatti, non cercano a tutti i costi di sembrare cattivi, mentre non hanno nessun bisogno di dimostrare di essere buoni.
Chi vi accusa di essere cattivi e vi condanna a fare una penitenza, sicuramente non è buono. I buoni infatti non possono imporre la bontà con la forza, altrimenti sarebbero cattivi.
… Forza, tocca a voi!