Poema della Vanga.
16 – 20 novembre.
S’imbizzarrisce Maroni,
che vuole assolutamente,
incondizionatamente,
andare in televisione.
A suo parere è in questione
l’onore, la dirittura
la cristallina struttura
di questi guerrieri arcani:
I Cavalieri Padani,
i Martiri di pianura.
Ma l’eccessivo fermento
del tastierista pentito
Rivela che nel partito
c’è un certo sommovimento.
C’è come il presentimento
che tutto stia per cambiare:
Il Nano non può durare,
Bossi permane fallato.
Se becca un’altra mazzata,
a chi potrebbe toccare?
Al mandarino Tremonti,
il ragioniere ambizioso
Eczematico, bilioso?
A Zaia, che furibondo
con alti stridi sprofonda
in veneto, nella mota?
All’impassibile Cota?
A Caldaroli il dentista?
È bene mettersi in vista,
ora che gira la ruota.
Si alzano i toni, è normale.
E’ come a tressette, quando
scarichi i punti, gridando,
nella giocata finale.
È un carico niente male
il bandito Casertano;
il Foro palermitano
molla una dura papagna
a Dell’Utri: e la Carfagna
sputacchia in salernitano.
Frattini, solidarizza
con Mara, che sta vicino
al misterioso Bocchino.
La Mussolini ironizza.
E venerdì scende in lizza
don Camillo Cardinale
Che richiama “alla morale
e ai retti comportamenti
i nostri rappresentanti
dentro la vita sociale”.
E infine, Bobo Maroni,
allegro come una ciste,
legge la sua bella lista
dentro la televisione.
Pare una brava persona,
forse un tantino invadente.
(Antropologicamente,
È più Fazio che Borghezio:
ma i tastieristi, hanno il vizio
di perdersi continuamente.)
E il Cardinale Ruini
porta la sua bella vanga,
insieme a Zaia, che sfanga
nel pantano vicentino.
Batte la vanga Bocchino,
facendo molto rumore,
sopra l’inceneritore.
E la Carfagna smagrita
ha una vanga arrugginita:
la vanga del disamore