Assenti anche il comune di Roma e il comune di Milano. Si sono invece costituite parte civile il Comune di Firenze, la Regione Toscana e circa 30 privati cittadini. Maggiani Chelli: Nessun processo alle intenzioni, ma così si agevolano i mafiosi"
Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione familiari delle vittime di via dei Georgofili, contattata da Ilfattoquotidiano.it, dichiara fermamente: “Nessuno di noi vuol fare un processo alle intenzioni. Può darsi che si tratti di un disguido. Tuttavia, come familiari delle vittime non possiamo che rimanere sconcertati di fronte all’atteggiamento dell’Avvocatura di Stato”. Per la Presidente, il rischio che si corre è quello di lanciare messaggi impliciti ai mafiosi che si trovano in carcere: “Pensiamo a Giuseppe Graviano che, tra le altre cose, ha recentemente goduto di un alleggerimento del regime di 41bis. Cosa avrà pensato sapendo che lo Stato si disinteressa di un processo così importante, dove oltretutto testimonia Gaspare Spatuzza? Che lo Stato fa cadere nel vuoto questioni primarie”. Siamo noi le vittime, non i mafiosi. E questo non è il processo all’ennesimo boss, ma un processo che chiede verità”. Noi questi errori non li capiamo – conclude Giovanna Maggiani Chelli – Altroché non presentarsi, lo stato doveva essere “presentissimo”.
In una nota distribuita ai giornalisti davanti all’aula bunker del tribunale di Firenze, l’associazione dei familiari delle vittime di mafia si legge: “Siamo certi che all’allora pm Gabriele Chelazzi e i suoi colleghi siano stati posti dei limiti, nel non dire tutto quello che uomini dello Stato sapevano. Non troviamo un altro sinonimo alla parola ‘trattativa’ tra mafia e Stato per le vicende che ci riguardano, quale causa dei nostri morti e dei nostri feriti”. Il documento distribuito pochi minuti prima dell’inizio del processo chiude con un’amara constatazione e una domanda: “Se il 15 maggio 1993 a ben 140 mafiosi fu tolto il regime di 41 bus, perché la strage di via dei Gerogofili fu fatta lo stesso? Questo implica che sul piatto della bilancia non c’era solo il papello di Riina con il 41 bis e gli altri 11 punti, ma forse altro? E cosa?”.
Secondo i familiari, le dichiarazioni rese nei giorni scorsi dall’ex minstro Giovanni Conso, confermano quanto sostengono. “Le reticenze di questi giorni, i non ricordo davanti alla richiesta di conferma dei 140 mafiosi passati da carcere duro a carcere normale il 15 maggio 1993 ci danno ampiamente ragione e ci rimepiono di amarezza”.
L’avvocato di Francesco Tagliavia, Luca Cianferoni, ha chiesto di ammettere come testimoni l’ex presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi, il guardasigilli del suo governo Giovanni Conso, l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, l’ex ministro degli interni Nicola Mancino, gli ex pm Antonio Di Pietro e Gerardo d’Ambrosio. I pm Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi, si sono opposti argomentando che le posizioni di “Mancino, Scalfaro, Ciampi, Di Pietro e D’Ambrosio sarebbero destinate a offrire un contributo che già altre corti hanno definito generico e valutativo”. Riguardo l’ex Ministro della Giustizia, Giovanni Conso, i magistrati si sono opposti sostenendo che, al pari di Massimo Ciancimino e dell’ex capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (DAP) Nicolò Amato, anch’essi chiesti come testi dalla difesa, sono “del tutto non pertinenti”. Fra i testimoni richiesti dalla procura figurano Gaspare Spatuzza, le cui dichiarazioni sono state determinanti per l’avvio del processo a carico di Francesco Tagliavia, Salvatore Grigoli, Tullio Cannella, Pietro Carra, Calogero Ganci, Salvatore Cancemi e altri soggetti già condannati per fatti di mafia. I pm hanno chiesto di ammettere anche le dichiarazioni messe a verbale da Antonio Scarano, nel frattempo deceduto.
L’udienza è stata aggiornata al 14 dicembre, quando la corte si pronuncerà sull’ammissione delle prove e dei testi.