Tutti hanno avuto un maestro, chi lo è stato per te?
Oltre a Fabio Rossi, ora Chef de La Vite di San Patrignano e Massimiliano Alajmo de Le Calandre, il mio primo maestro è stato mio padre, agricoltore come suo padre prima di lui. E’ un lavoro durissimo che anche io ho provato a fare e che mi ha insegnato alcune cose che oggi ritengo fondamentali: il modo di affrontare l’impegno quotidiano e il rispetto della terra e del cibo. In una famiglia di contadini tutto quello che arriva in tavola è frutto di ore di fatica e questo ti porta ad avere maggiore sensibilità per quello che mangi. Un altro vantaggio è stato conoscere i sapori degli alimenti prima di essere trasformati, quelli vero. Da bambino mi capitava di seguire i miei genitori nei campi ed amavo assaggiare qualsiasi verdura appena raccolta. Ricordo precisamente il sapore delle fragole sporche di terra, cosa che tra l’altro vorrei provare a riprodurre in un piatto. La formazione del mio archivio di sapori ha origine in quegli anni, magari non ho memoria per nomi o numeri ma difficilmente dimentico il gusto e il profumo e ancora oggi non ho perso l’abitudine di assaggiare tutto: alberi, foglie, erbe. Quando trovo qualcosa che mi incuriosisce ne faccio spesso parte di un piatto.
Quali particolari sapori hai sperimentato in cucina?
Le foglie del cipresso e le sue pigne verdi, per esempio, le viole selvatiche, i fiori di mandorlo e di pesco, il levisco, l’angelica, l’isoppo, praticamente ogni tipo di erba aromatica. La mia cucina si basa sui profumi, è quella la parte più importante anche se non si riesce sempre ad estrarne uno e a metterlo in un piatto.
La tua famiglia ti fornisce la materia prima?
A volte sì, anzi spesso sono io che gli chiedo di piantare qualcosa di particolare per poi poterla usare. Ovviamente acquisto materie prime anche da altri e all’inizio è il coltivatore che mi deve colpire. Voglio conoscere le sue motivazioni e il modo in cui lavora al di là delle etichette come biologico e altre mode del momento. La persona viene prima del prodotto stesso. Lavorando insieme col tempo si instaura un rapporto di fiducia e aiuto reciproco, è una bellissima sinergia.
Questi riconoscimenti cambieranno qualcosa nel tuo modo di lavorare?
E’ proprio quello che non voglio che succeda. Continuerò a lavorare come ho sempre fatto e soprattutto continuerò a cucinare per gli ospiti del ristorante a prescindere che siano clienti, amici o persone che assegnano punteggi.
“Riso in Bianco” ha conquistato buongustai di tutta Europa ed è una perfetta sintesi della tua ricerca. Ci spieghi la ricetta?
Gli ingredienti per quattro persone sono: 320g di Riso Rosa Marchetti, 60g di foglie di cipresso, 3 pigne verdi del cipresso, un cucchiaio di parmigiano, 700g d’acqua, un cucchiaio di burro, 3 o 4 gocce di limone e sale. Si prepara il burro al profumo di cipresso in questo modo: prima è necessario grattare le pigne molto finemente servendosi della grattugia della noce moscata, poi vanno stese su un tagliere e ricoperte con il burro a temperatura ambiente, lasciando riposare. Trascorsi due giorni bisogna filtrare il burro per togliere la pigna, schiacciarlo e conservarlo normalmente. L’acqua per cuocere il riso viene prima insaporita con le foglie di cipresso lasciandole in infusione a 50° per circa tre ore. Dopo di ché è molto semplice: tostare il riso senza aggiungere grasso in una pentola, bagnare con l’acqua di cipresso filtrata e portare a cottura. Una volta cotto, togliere dal fuoco e mantecare con il burro di cipresso, il parmigiano e le gocce di limone. L’unica accortezza è quella di servire il riso su una punta di fondo bruno: tutte le cose a base d’acqua e senza grassi in bocca hanno un sapore immediato che però non ha profondità, tende a scivolare via. Il fondo bruno, pur se in dosi irrisorie, serve a dare un po’ di grasso e di acidità che permette alle papille gustative di fissare il sapore più a lungo.