In un post pubblicato il 5 novembre l’on. Donadi invitava i lettori a esprimere la loro opinione sull’ipotesi del cosiddetto governo tecnico. Dal suo punto di vista (spero di non distorcere troppo l’argomento) se invece di andare immediatamente alle elezioni politiche, si instaurasse per alcuni mesi un governo tecnico, sostenuto da una maggioranza eterogenea, gli Italiani dimenticherebbero in fretta il fallimento dell’attuale esecutivo e gli scandali di varia natura che ne hanno costellato il percorso. Per cui sarebbero indotti molto piu’ facilmente a votare di nuovo Berlusconi e i suoi sodali.
Difficile stabilire con certezza quale siano le scelte piu’ opportune in una situazione cosi’ anomala e confusa. Ma cercando di chiarirmi le idee, mi e’ venuto in mente un famoso esperimento di psicologia cognitiva condotto negli anni ’60 a Oxford.
L’esperimento consistette nel far ascoltare separatamente una conferenza a quattro gruppi distinti di studenti. La conferenza fu tenuta dallo stesso individuo a tutti e quattro i gruppi (in tempi diversi) pronunziando esattamente le stesse parole, nella stessa aula.
L’unica differenza fu questa: al primo gruppo venne fatto credere che il conferenziere era una persona senza qualifiche particolari, al secondo gruppo venne detto che il conferenziere era un esperto, al terzo che era un ricercatore e al quarto un luminare di Oxford (semplifico per non essere prolisso). Dopo la conferenza venne chiesto ai membri di ciascun gruppo di indicare la statura dell’oratore. Ebbene, l’altezza media riportata dagli studenti in ciascun gruppo aumentava all’aumentare dello status. Il primo gruppo indicò un’altezza inferiore a quella indicata (in media) del secondo e così via.
Insomma la percezione visiva dei partecipanti all’esperimento sulla statura fisica era alterata dall’informazione (falsa) che avevano ricevuto sulla statura intellettuale dell’individuo. Chi conosce questi meccanismi psicologici li utilizza quotidianamente per influenzare attraverso i media il metro di giudizio dell’opinione pubblica. L’esperimento provava che si può manipolare la percezione di un gruppo anche su un elemento oggettivo come la statura, sapendo quali influenze esercitare e quali informazioni distorcere.
Studi più complessi hanno dimostrato che gli stimoli subliminali soprattutto visivi hanno la capacità di influenzare le decisioni (incluse quelle di voto) ben al di là di quanto non si immagini. In un altro esperimento riportato in un articolo del 1987 si chiedeva ad un gruppo di persone di guardare delle foto di candidati e poi di esprimere un giudizio sulla persona. Alcune di queste foto fornivano un’immagine esteticamente più gradevole del soggetto, altre meno (nell’articolo sono riportate a partire da pagina 10, guardatele perchè altrimenti è difficile da spiegare).
Conclusione: modifiche anche minime nella foto, ad esempio un angolo diverso, un leggero sorriso producono differenze significative nel modo in cui una persona è percepita da un pubblico indifferenziato. L’immagine positiva o negativa influenza di conseguenza il giudizio su qualità – come competenza, integrità e affabilità – che sono rilevanti per un elettore nella valutazione e quindi nella scelta di un candidato.
Per valutare quanto queste percezioni potessero influenzare un’elezione i ricercatori chiesero ai soggetti che partecipavano all’esperimento di votare su candidati di cui era stato distribuito il programma e di cui venivano mostrate le foto. Vi risparmio i dettagli e riporto le conclusioni verbatim (chi conosce l’inglese le trova a pagina 13): “Foto differenti dello stesso candidato hanno prodotto forti e consistenti differenze nel voto che il candidato ha ricevuto. [….] Possiamo concludere che foto diverse dello stesso candidato forniscono agli elettori immagini diverse del carattere del candidato e della sua capacità di ricoprire la carica, e ciò di conseguenza influenza in modo importante le loro scelte di voto”.
Cosa c’azzeccano questi esperimenti con il governo tecnico? Se basta un’immagine fotografica ad esercitare “un’influenza importante”, cosa succede quando un candidato ha a disposizione cinque reti televisive (e mezzo)? E se aggiungiamo un po’ di quotidiani e settimanali a larga tiratura? E se aggiungiamo una capacità di spesa di alcuni miliardi di euro? E se aggiungiamo il controllo dei Ministeri chiave, primo fra tutti quello dell’Interno?
Non c’è bisogno di conoscenze scientifiche troppo sofisticate per rispondere. Basta ricordare quello che avvenne nelle elezioni del 2006. Anche allora si credeva che cinque anni di governo avessero screditato a tal punto Berlusconi e i suoi alleati da aspettarsi una solida maggioranza per il centro sinistra. Ma la propaganda martellante in poche settimane colmò un divario che nei sondaggi sembrava solidissimo. Come ciliegina sulla torta, la sera del venerdì precedente le votazioni Berlusconi si fece “intervistare” per due ore da Belpietro su Rete 4, in disprezzo alle più elementari regole della par condicio. E a quei tempi aleggiava ancora un minimo di ritegno nella redazione del TG1, ritegno che oggi è solo un lontano ricordo.
Per chi avesse la memoria offuscata, è il caso di ricordare le elezioni regionali di aprile. Berlusconi sembrava indebolito dagli scandali, dall’incapacità di governare, le comparsate con Gheddafi, le illegalità e il dilettantismo nella presentazione delle liste e tutto il resto. Poi furono chiuse le trasmissioni di approfondimento e dilagò la propaganda a reti unificate. I servizi dei telegiornali sulla chiusura della campagna elettorale mostravano Berlusconi stagliato sul solito sfondo azzurro in veste di statista di successo, elegante, sommerso dagli applausi, mentre Bersani veniva mostrato nelle vesti di sfigato a distribuire all’alba volantini a Mirafiori.
Del resto non è un fenomeno solo italiano. Tanto per fare un esempio, un sondaggio fra gli elettori di Bush compiuta dal Program on International Policy Attitudes dell’Università del Maryland rivelò che il 70% di coloro che votarono per riconfermare Bush credeva che fossero state trovate “prove evidenti” che Saddam Hussein era in combutta con Al Qaeda. Inoltre, un terzo credeva che in Iraq fossero state trovate armi di distruzione di massa e più di un terzo era convinto che una forte maggioranza dell’opinione pubblica mondiale fosse favorevole all’invasione dell’Iraq (Bob Herbert, Voting without the facts, The New York Times). Questo accade in un paese dove l’informazione non è tanto concentrata come in Italia.
Per concludere, dal mio punto di vista, il monopolio dell’informazione conferisce un vantaggio quasi incolmabile. Per vincere alle urne non c’è bisogno di indottrinare 40 milioni di elettori, basta spostare poche centinaia di migliaia di voti tra quelli in bilico. Andare alle elezioni con i cinque maggiori canali televisivi impegnati in un’opera di mistificazione di stampo cubano è un suicidio politico. L’equivalente elettorale delle cariche in cui la cavalleria polacca si lanciò contro i panzer di Hitler facendosi massacrare. Quindi forse sarebbe il caso di riflettere bene prima di liquidare ipotesi di governi tecnici o come li si voglia chiamare.
Un governo che spezzasse questo monopolio sull’informazione radiotelevisiva e magari cambiasse la legge elettorale reintrodurrebbe un minimo di legalità democratica e ristabilirebbe le condizioni per una competizione onesta. Altrimenti sarà un giochetto da Fede e Minzolini dilatare la statura fisica, politica e morale dell’uomo solo al comando, un po’ come fecero i ricercatori all’Università di Oxford.