Un’integrazione al contrario, con gli italiani che tentano di inserirsi nel quartiere, cercando il dialogo con gli immigrati. Accade nella Chinatown di Milano. Gli autonomi sgomberati lo scorso ottobre dal centro sociale la “Bottiglieria” si sono trasferiti in un altro edificio abbandonato, “La Stamperia”, ai margini del quartiere cinese. I ragazzi che lo abitano vogliono trasformare la casa occupata in un laboratorio di integrazione etnica, a cui si uniscono le battaglie storiche sull’emergenza abitativa e il caro affitti.
Tutto passa attraverso la creazione di uno spazio di aggregazione, da proteggere da eventuali sgomberi puntando sull’appoggio del vicinato. “Il motore di questo luogo è la socialità, trovare un’alternativa al tour forzato di happy hour, pizzeria e discoteca”, spiega Paolo, 54 anni e precario della pubblica amministrazione. “Spero che questi posti possano favorire quell’integrazione di cui nessuno si è occupato. Qui non ci sono pericolosi sovversivi come vorrebbero farci credere, ma l’interesse per le etnie che popolano la città. I ragazzi hanno diffuso alcuni volantini in cinese per spiegare la loro presenza e l’inizio delle attività culturali che intendono svolgere. Stanno iniziando a prendere contatti, ci vorrà del tempo”.
Contatti che puntano anche a una coalizione con gli immigrati di seconda e terza generazione sui temi della speculazione. “Gli stabili sfitti devono essere restituiti alla gente”, prosegue Paolo. “L’accanimento del vicesindaco De Corato e della giunta di Letizia Moratti, che finora ha condotto una battaglia serrata contro i centri sociali, è un pretesto per distogliere l’attenzione dai problemi reali. Milano è soffocata dall’inquinamento, dalla crisi, da un’economia che sta morendo. Per fortuna qui la solidarietà arriva dal quartiere”. Paolo racconta ad esempio che due signore anziane portano regolarmente la spesa alla Stamperia, e mettono a disposizione furgoni e strumentazioni tecniche per riordinare e pulire.
Ai margini della Chinatown milanese nasce il paradosso: gli autonomi che vogliono favorire l’integrazione etnica sono gli stessi che raccolgono le simpatie dei milanesi della porta accanto, felici che quell’edificio non sia stato preso da altri stranieri. Paolo, studente della Statale di 23 anni spiega: “Abito a pochi metri da qui, alcuni anziani mi dicono ‘mi avete portato compagnia’”. Per Ignazio ormai “spaccare le vetrine e incendiare le macchine aumenta solo il fatturato di chi si cerca di combattere. Serve creare uno spazio che risponda ai bisogni reali e risvegliare il desiderio dei ragazzi di emanciparsi dai propri genitori. E se riuscissero anche a favorire il dialogo con i cinesi ne gioverebbe tutta Milano”.
Un’alternativa che poggia su basi più ampie della politica, su una solidarietà che vuole stabilirsi oltre gli steccati ideologici e la provenienza dei singoli. In primis, infatti, arriva l’emergenza abitativa che è un problema di tutti. “L’occupazione è un mezzo che ci consente di uscire dalla condizione di bamboccioni, visto che non riusciamo a pagarci l’affitto”, spiega Massimo, uno dei 40 ragazzi che risiedono alla Stamperia.
“Spesso sono anche gli stessi abitanti del quartiere che ci chiedono perché non occupiano altri stabili vuoti da decenni. Vogliono vedere rivivere questa zona, strozzata dalla speculazione. Certo, per l’integrazione dei ragazzi cinesi è necessario tempo e costanza. Sarà più semplice avvicinare i giovani delle scuole superiori, che hanno già abitudini milanesi rispetto agli immigrati di prima generazione. Qualche studente infatti, passa al venerdì alle nostre cene, sempre aperte a tutti. Prima arriva solo, e la volta successiva porta qualcun altro”, conclude. Se il passaparola funziona, le nuove generazioni potranno abbattere quegli steccati di silenzio che separano gli italiani dagli immigrati e, in particolare, dai cinesi.