L’Ocse e la Confindustria avvertono: la crescita (dei redditi) nel nostro paese – la più bassa del mondo dopo Haiti, nel periodo 2000-2009 – tende nuovamente a calare. I mercati finanziari non apprezzano: senza crescita è più difficile ripagare il debito pubblico… e i tassi salgono. Ma i problemi non finiscono qui. Succede anche che la quota di aumento del reddito nazionale che interessa il 10% meno abbiente della popolazione è, da noi, tra le più basse al mondo. Lo rivela un nuovo studio dell’Arizona University.

In altri termini: l’ingiustizia sociale in Italia sta aumentando; e sta aumentando più velocemente che in qualsiasi altro paese preso in esame. La disuguaglianza è infatti aumentata, ma meno che da noi, negli ultimi 25 anni, in Germania, Svizzera, Canada, Australia, Stati Uniti, Austria, Belgio, Finlandia; è rimasta più o meno stazionaria in Spagna e Irlanda, e Norvegia; è diminuita in Gran Bretagna, Francia, Olanda, Danimarca e Svezia. Dove la disuguaglianza è diminuita, ciò è avvenuto grazie alle politiche sociali, non grazie all’aumento dei salari più bassi.

Il trend italiano complicherà ulteriormente la politica economica dell’era post Berlusconi. Non è facile ridistribuire quando la torta non cresce, e quando il debito pubblico è così alto. Ma bisognerà farlo.

La ricerca riassume anche gli sforzi dei politologi per spiegare le scelte sociali dei governi. Pare che aiutino la presenza di sindacati forti e autonomi, l’orientamento “a sinistra” dei governi”, le leggi elettorali proporzionali, e persino la libertà di commercio (che abbatte le rendite di posizione, la forza delle lobbies, e aumenta la crescita).

Ecco perché è ora di chiudere con una destra che – nel decennio corrente – ha aumentato il debito pubblico in ogni singolo anno in cui ha governato, ha affossato le liberalizzazioni, tagliato il sistema dell’istruzione (riducendo la crescita), e ciononostante ha anche acuito le disparità sociali.

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