La fusione Fiat – Chrysler rappresenta per la casa torinese una mossa rischiosa ma anche l’unica vera possibilità di salvezza da se stessa e dall’Italia. Lo scrive il settimanale inglese Economist nell’edizione in edicola oggi. Nell’articolo dedicato al Lingotto e intitolato “Fiat con Chrysler lascia o raddoppia” si sottolineano tutte le criticità della complessa operazione di accorpamento dei due costruttori ipotizzando per il gruppo guidato da Sergio Marchionne un futuro sempre più lontano dall’Italia.
La Fiat ha già acquistato il 20% del gruppo Chrysler ma le quote sono destinate ad aumentare fino al 35% aprendo la strada, in futuro, alla definitiva fusione. L’operazione comporta notevoli rischi anche a fronte degli elevati costi di ristrutturazione dei conti della casa americana (che sui 7 miliardi di dollari ottenuti in prestito dai governi di Usa e Canada paga interessi del 14% e del 20%), ma l’aggregazione potrebbe anche permettere alle due aziende di condividere la tecnologia e di ottenere quelle economie di scala capaci di permettere alla nuova creatura di rivaleggiare ad armi pari con i colossi del settore a cominciare da Volkswagen e Toyota. Una strada difficile, ma anche l’unica percorribile di fronte all’alternativa di una presenza eccessivamente concentrata su un mercato italiano “piccolo e poco competitivo per garantire una sopravvivenza a lungo termine”.
Finora la casa torinese sembra chiamata dunque a due sfide fondamentali. In primo luogo occorrerà non ripetere gli errori fatti in passato dalla Daimler che alla fine degli anni ’90 acquisì la Chrysler senza tuttavia riuscire a rilanciarla sul mercato. Il ritiro della società tedesca e la successiva cessione dell’azienda americana alla società di private equity Cerberus aprì la strada al fallimento del costruttore di Detroit, salvato all’ultimo momento dall’operazione Fiat con la sponsorizzazione di Washington. In seconda istanza, il Lingotto dovrà riuscire a imporsi su quel mercato americano abbandonato 27 anni or sono sotto la spinta del rifiuto espresso dai consumatori per la scarsa qualità delle vetture (l’acronimo Fiat, ricorda il settimanale britannico, fu ironicamente reinterpretato come “Fix it again Tony” – “aggiustala ancora una volta Tony” – per evidenziare i diffusi difetti dei veicoli).
In caso di riuscita le prospettive di successo sarebbero notevoli. Ma il trionfo dell’operazione potrebbe generare costi sociali notevolissimi per i lavoratori italiani. Secondo l’Economist, rivista tradizionalmente in linea con le dottrine di libero mercato, le perplessità già espresse da Marchionne sulla redditività delle operazioni condotte in Italia potrebbero tradursi in un progressivo abbandono degli impianti del Paese. “E’ facile immaginare – sottolinea il settimanale – che la Fiat possa lasciare appassire i propri impianti (in Italia – ndr) iniettando nuovi investimenti nei Paesi caratterizzati da una crescita delle vendite e da una produttività più alta”.
Le aree di interesse, cifre alla mano, sono facili da individuare. “In Italia – prosegue l’Economist – , 22 mila lavoratori distribuiti su cinque fabbriche producono ogni anno 650 mila automobili. Nella principale installazione Fiat in Brasile, appena 9.400 dipendenti ne realizzano 750 mila. L’impianto polacco fa ancora meglio: 6.100 lavoratori per 600 mila vetture”. Pur avendo recentemente negato l’intenzione di abbandonare la Penisola, Marchionne, conclude il settimanale, potrebbe sperimentare presto il suo “momento tatcheriano” decidendo di reagire con le cattive all’opposizione della Cgil, il sindacato che più di ogni altro ha comprensibilmente espresso contrarietà alle richieste di flessibilità sull’orario e gli accordi salariali.
Economia & Lobby
E se la Fiat abbandonasse i lavoratori italiani?
La salvezza del Lingotto sta nella fusione con Chrysler e nella diversificazione del mercato. Lo scrive l’Economist prefigurando per la casa torinese un futuro sempre più lontano dalla Penisola. Con buona pace dei lavoratori italiani
La Fiat ha già acquistato il 20% del gruppo Chrysler ma le quote sono destinate ad aumentare fino al 35% aprendo la strada, in futuro, alla definitiva fusione. L’operazione comporta notevoli rischi anche a fronte degli elevati costi di ristrutturazione dei conti della casa americana (che sui 7 miliardi di dollari ottenuti in prestito dai governi di Usa e Canada paga interessi del 14% e del 20%), ma l’aggregazione potrebbe anche permettere alle due aziende di condividere la tecnologia e di ottenere quelle economie di scala capaci di permettere alla nuova creatura di rivaleggiare ad armi pari con i colossi del settore a cominciare da Volkswagen e Toyota. Una strada difficile, ma anche l’unica percorribile di fronte all’alternativa di una presenza eccessivamente concentrata su un mercato italiano “piccolo e poco competitivo per garantire una sopravvivenza a lungo termine”.
Finora la casa torinese sembra chiamata dunque a due sfide fondamentali. In primo luogo occorrerà non ripetere gli errori fatti in passato dalla Daimler che alla fine degli anni ’90 acquisì la Chrysler senza tuttavia riuscire a rilanciarla sul mercato. Il ritiro della società tedesca e la successiva cessione dell’azienda americana alla società di private equity Cerberus aprì la strada al fallimento del costruttore di Detroit, salvato all’ultimo momento dall’operazione Fiat con la sponsorizzazione di Washington. In seconda istanza, il Lingotto dovrà riuscire a imporsi su quel mercato americano abbandonato 27 anni or sono sotto la spinta del rifiuto espresso dai consumatori per la scarsa qualità delle vetture (l’acronimo Fiat, ricorda il settimanale britannico, fu ironicamente reinterpretato come “Fix it again Tony” – “aggiustala ancora una volta Tony” – per evidenziare i diffusi difetti dei veicoli).
In caso di riuscita le prospettive di successo sarebbero notevoli. Ma il trionfo dell’operazione potrebbe generare costi sociali notevolissimi per i lavoratori italiani. Secondo l’Economist, rivista tradizionalmente in linea con le dottrine di libero mercato, le perplessità già espresse da Marchionne sulla redditività delle operazioni condotte in Italia potrebbero tradursi in un progressivo abbandono degli impianti del Paese. “E’ facile immaginare – sottolinea il settimanale – che la Fiat possa lasciare appassire i propri impianti (in Italia – ndr) iniettando nuovi investimenti nei Paesi caratterizzati da una crescita delle vendite e da una produttività più alta”.
Le aree di interesse, cifre alla mano, sono facili da individuare. “In Italia – prosegue l’Economist – , 22 mila lavoratori distribuiti su cinque fabbriche producono ogni anno 650 mila automobili. Nella principale installazione Fiat in Brasile, appena 9.400 dipendenti ne realizzano 750 mila. L’impianto polacco fa ancora meglio: 6.100 lavoratori per 600 mila vetture”. Pur avendo recentemente negato l’intenzione di abbandonare la Penisola, Marchionne, conclude il settimanale, potrebbe sperimentare presto il suo “momento tatcheriano” decidendo di reagire con le cattive all’opposizione della Cgil, il sindacato che più di ogni altro ha comprensibilmente espresso contrarietà alle richieste di flessibilità sull’orario e gli accordi salariali.
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Israele, terremoto allo Shin Bet: Netanyahu silura il capo Bar e denuncia il suo predecessore
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Il presidente del partito israeliano Unità Nazionale, Benny Gantz, definisce il licenziamento, da parte del premier Benjamin Netanyahu, del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, "un colpo diretto alla sicurezza dello Stato e allo smantellamento dell'unità nella società israeliana per ragioni politiche e personali".
Anche il presidente di Yisrael Beytenu, Avigdor Liberman, condanna la decisione, dichiarando che se il Primo Ministro Netanyahu “avesse combattuto Hamas con la stessa determinazione con cui sta combattendo il capo dello Shin Bet, l'ufficio del Procuratore generale e il sistema giudiziario, l'olocausto del 7 ottobre sarebbe stato impedito”.
Mosca, 16 mar. (Adnkronos) - La Russia ha ripetutamente affermato che non dovrebbero esserci “forze di peacekeeping” della Nato in Ucraina. E se l'Alleanza decidesse di aiutare Kiev in questo modo, significherebbe la guerra. Lo ha affermato su X il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato la sua intenzione di licenziare il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, e di averlo "informato che la prossima settimana presenterà una proposta al governo per porre fine al suo mandato".
In una dichiarazione successiva, Netanyahu ha spiegato: “In ogni momento, ma soprattutto durante una guerra esistenziale come quella che stiamo affrontando, deve esserci piena fiducia tra il primo ministro e il capo dello Shin Bet. "Ma sfortunatamente, la situazione è l'opposto: non ho questa fiducia. Nutro una sfiducia continua nel capo dello Shin Bet, una sfiducia che è solo cresciuta nel tempo".
(Adnkronos) - "Il nemico americano ha lanciato un'aggressione palese contro il nostro Paese nelle ultime ore con oltre 47 attacchi aerei", si legge nella dichiarazione. In risposta, "le Forze Armate hanno condotto un'operazione militare specifica prendendo di mira la portaerei americana USS Harry S. Truman e le sue navi da guerra nel Mar Rosso settentrionale con 18 missili balistici e da crociera e un drone".
"Con l'aiuto di Allah Onnipotente", prosegue la dichiarazione, "le forze armate yemenite continueranno a imporre un blocco navale al nemico israeliano e a vietare alle sue navi di entrare nella zona di operazioni dichiarata finché gli aiuti e i beni di prima necessità non saranno consegnati alla Striscia di Gaza".
Sana'a, 16 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno risposto ai bombardamenti americani sullo Yemen attaccando la USS Harry S. Truman nel Mar Rosso con missili balistici e un drone. Lo rivendica il portavoce del gruppo yemenita.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - La polizia israeliana ha aperto un'indagine sull'ex capo dell'agenzia di sicurezza Shin Bet, Nadav Argaman, dopo che venerdì il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato una denuncia.
Il premier israeliano ha accusato Argaman di ricatto e reati legati alla legge che riguarda lo Shin Bet, che proibisce ai dipendenti dell'organizzazione di divulgare informazioni ottenute nell'ambito del loro lavoro.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un abitante di Gaza, che stava "tentando di piazzare ordigni esplosivi" nei pressi del corridoio di Netzarim, è stato ucciso. Lo riferisce l'esercito israeliano.