La compagnia petrolifera dovrebbe spendere meno di 3 dei 20 miliardi di dollari originariamente stanziati per far fronte alle cause legali. Il motivo? I ricorsi presentati hanno documentazione insufficiente
Scaduti i termini per la presentazione dei reclami relativi ai danni registrati negli ultimi sei mesi, l’azienda si trova ora nella condizione di poter respingere molte richieste. Nell’ultimo trimestre, ha sottolineato Feinberg, Bp ha ricevuto circa 450 mila querele da parte dei residenti e degli operatori del turismo e dell’industria ittica, i due settori maggiormente colpiti dall’inquinamento delle acque della costa. Ma non meno della metà delle richieste è destinata a non essere accolta. Almeno 225 mila reclami sono stati presentati con una documentazione incompleta o comunque inedaguata eliminando così qualsiasi possibilità di risarcimento.
Ad essere penalizzati saranno tra gli altri i pescatori della vasta comunità di immigrati vietnamiti molti dei quali, ha spiegato al Guardian il consulente Daniel Becnel dell’omonimo ufficio legale di New Orleans, non parlano nemmeno l’inglese, effettuano transazioni commerciali solo in contanti e non compilano un registro fiscale dei propri guadagni. Caratteristiche che si traducono nella sostanziale impossibilità di presentare stime verificabili sui danni economici subiti tuttora e su quelli destinati a pesare nei prossimi anni. Feinberg ritiene che alla fine Bp accoglierà le richieste di appena 175 mila querelanti aggiungendo non più di 2,3 miliardi ai 400 milioni già spesi tra aprile e agosto. Il budget inizialmente fissato dalla compagnia per la liquidazione dei danni ammontava a 20 miliardi.
Per i vertici della compagnia petrolifera, le rivelazioni di Feinberg rappresentano un’ulteriore buona notizia dopo gli sviluppi giudiziari che avevano messo l’azienda al riparo dal rischio di maxi risarcimenti. A fine settembre la Corte Suprema Usa aveva sentenziato nell’ambito di un altro caso il divieto per gli azionisti che hanno acquistato i titoli di una compagnia su una piazza estera di intentare una causa contro la medesima società all’interno di un tribunale statunitense. Una regola destinata a ridimensionare la portata delle class action condotte contro Bp dagli investitori colpiti dai devastanti effetti prodotti dall’incidente sul valore del titolo in Borsa. Dal 20 aprile a oggi il prezzo unitario delle azioni Bp è calato di circa un terzo.
In estate la compagnia petrolifera texana Anadarko era stata trascinata in tribunale dai suoi azionisti con l’accusa di aver mentito sui dati relativi alla sicurezza delle operazioni della piattaforma. Tre anni or sono Anadarko, che possiede il 25% delle quote della Deepwater, aveva condotto un esame congiunto insieme alla Bp. L’indagine aveva portato alla luce numerosi segnali d’allarme che la compagnia aveva deciso di non divulgare. A fine giugno il New York State Common Retirement Fund (Scrf), uno dei principali fondi pensione statunitensi con i suoi 132 miliardi di dollari in assets gestiti, aveva fatto causa a Bp accusando la società di aver «ingannato gli investitori in merito alle procedure di sicurezza e alla sua capacità di rispondere ad eventi come la fuga di petrolio». Quattro fondi pensione dell’Ohio si erano successivamente uniti alla class action.