Marlene Kuntz all’attacco del web. Marlene Kuntz all’attacco di chi li attacca. I rocker piemontesi sono tornati nei negozi di dischi con “Ricoveri virtuali e Sexysolitudini” (Sony), cd con pochi compromessi, abbastanza arrabbiato, scritto per rivendicare il romanticismo e per criticare l’eccesso di uso del web; ma anche per rispondere, con musica e parole, a chi li ha accusati di essere finiti, senza idee, spenti o venduti. “Ci volevano arrabbiati e siamo tornati arrabbiati”, spiega il cantante Cristiano Godano. “In questi anni ci hanno attaccato molto. Accade lo stesso a tutti i gruppi che hanno un percorso artistico. Ci hanno mosso critiche del tipo: bello il vostro ultimo disco, ma siamo lontani dai tempi di Catartica… Ecco: siamo stufi di questo paragone obbligato. Neanche i Rolling Stones sono così ossessionati da Satisfaction. Noi siamo sempre stati sinceri.
Dicono che non siete più aggressivi, che siete invecchiati…
Dicono che non ruggiamo, ma se ruggissimo direbbero che siamo sempre uguali. La verità? Credo che ci criticano perchè siamo un grande gruppo, ancora qui, all’ottavo disco – e la cosa non è per niente facile, nell’ambito del rock italiano. In tutti i casi, è difficile andar d’accordo per così tanto tempo con i propri fan: cambiano i loro gusti, e anche noi cambiamo. Magari nel percorso ci si perde, è naturale. Ma il fatto è che noi siamo sempre entusiasti di quello che facciamo, e a volte è disarmante vedere la leggerezza con la quale vengono accolte canzoni alle quali noi, magari, lavoriamo per mesi e con dedizione: a chi ascolta la tua musica, basta un minuto per demolirti. Basta un click su internet, una minirecensione avvelenata. Abbiamo accumulato un sacco di insulti in questi anni, soprattutto via web. Abbiamo voluto fornire feedback specifici a provocazioni e attacchi gratuiti. Ma l’idea era quella di portare elementi di riflessioni sul tema della virtualità in senso lato.
In “Paolo anima salva” fate riferimento ad un disco di Fabrizio de Andrè. Perché?
Perchè “Le anime salve” di Fabrizio de André sono vicine al personaggio che abbiamo voluto rappresentare nella canzone; una persona che ascolta de André e che empatizza con una certa sensibilità; una persona che si sente spaesata in questo presente fatto di “ricoveri virtuali e sexy solitudini”. Il nostro Paolo prova a essere un eroe romantico e solitario nonostante tutto, ben sapendo di essere solo un nodo della rete.
Un testo-manifesto. Si può dire che le vostre liriche siano ‘politiche’?
Le cose che accadono in Italia creano sdegno, ma non sono motivato a parlarne. La mia è una prospettiva più estetica: non mi interessa esprimere opinioni politiche e sociali in senso stretto; preferisco leggermi un bell’editoriale, per avere dei discorsi qualificati su quello che sta accadendo nel presente. Al musicista e all’artista chiedo solo l’incanto del suo talento. Le parole, poi, sono ingombranti. Io cerco più che altro un equilbrio tra suono e significato.
Eppure i significati non mancano.
Certo, ma mi interessa soprattutto entrare nella prospettiva di persone con una certa sensibilità, con certi vissuti particolari.
Come in “Vivo”, che racconta la vicenda di un malato che sente tutto quello che gli accade intorno ma non ha la possibilità di comunicare con il mondo esterno.
Si, come nel film “Lo Scafandro e la farfalla“. La canzone parla di questo, prova a dare voce a chi non riesce a comunicare con il mondo esterno pur sentendo tutto… Cerco di entrare nella testa degli altri, di empatizzare con aspetti difficili dell’esistenza. D’altronde l’arte è grande e non è mai consolatoria, ma semmai legata al mistero.
Come vedete il futuro dell’industria musicale, vista la grande diffusione della pirateria?
E’ un momento di cambiamento, senza dubbio: la musica sta perdendo il ruolo che aveva 5 anni fa. Il fatto che le canzoni siano disponibili gratuitamente in rete ci mette in difficoltà: lo dicevo già sei anni fa, quando non andava di moda sostenerlo ed eravamo solo agli albori del downloading selvaggio. Di fatto, chi si occupa di musica per lavoro ora rischia parecchio. Si sta perdendo molto, e la cosa bizzarra è che non c’è neanche comprensione per chi lavora in questo settore. Forse non si capisce che dietro alla realizzazione di un disco c’è un’opera che dura mesi, c’è il lavoro di tante persone… Continuando così, un giorno succederà che chi fa musica, prima di entrare in sala di registrazione, arriverà a chiedersi: perchè ci vado? Per quanto portò permettermelo? Soprattutto in Italia, dove il mercato è relativamente piccolo per i gruppi di fascia media come il nostro. Negli anni ’90 sono venute fuori band come Verdena, Subsonica, Massimo Volume, 99Posse, mentre ora, a parte i Negramaro e poche eccezioni, chi c’è di nuovo? …E poi il problema è anche culturale: chi scarica da internet sviluppa l’attitudine a fare compilation, a non capire l’eventuale filo narrativo di un’opera proposta dall’artista. Con il mare magnum di internet e l’accesso libero a tutto, si passa più tempo a scaricare che ad ascoltare le cose con attenzione.
Accettereste di promuovere il vostro lavoro in un talent-show televisivo per tirare su le vendite?
No, al limite pensiamo a Sanremo.
Veramente?
Certo. Eravamo contenti quando gli Afterhours sono saliti sul palco dell’Ariston con “Il paese è reale“, lo scorso anno. Hanno scelto la canzone sbagliata – con una ballata delle loro avrebbero avuto più successo – ma hanno pubblicizzato la scena alternativa e hanno provato un’esperienza diversa. L’Italia-rock è consueta, i locali sono sempre gli stessi e viene spesso voglia di provare qualcosa di nuovo. Fare una cosa eclatante ci stimolerebbe. Ma se andassimo a Sanremo i fan ci contesterebbero e la resa sonora della nostra esibizione sarebbe orrenda – vista la poca preparazione e il presappochismo di certe maestranze: non siamo in America. Inoltre il pubblico assurdo all’Ariston ci guarderebbe spaventato e infastidito, magari mentre siamo lì a fare una cosa incazzosa.
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