Hanno comprato una pagina del Corriere della Sera rivolgendosi al presidente della Repubblica e al premier. E poi hanno diramato un comunicato stampa durissimo, intitolato: “Comparto intercettazioni, stop ai lavori”. Le aziende che, per conto delle procure, si occupano di intercettazioni telefoniche e consulenze tecnologiche alle indagini (ad esempio microtelecamere) annunciano la serrata, “perché – spiega l’Iliia, associazione che li rappresenta – il ministero della Giustizia ha un debito nei nostri confronti di 500 milioni”. Così, da domani, le procure non potranno più avviare intercettazioni su utenze telefoniche di persone indagate che ritengono meritevoli di attenzione, perché le società incaricate hanno deciso di non accettare nuovi incarichi. Uno stop che, spiega il comunicato, “provocherà un evidente pregiudizio dell’attività investigativa futura e non potrà assicurare anche il regolare espletamento degli incarichi in corso con grave danno per le indagini già in atto”.
“Noi emettiamo fattura alle procure, ma le lungaggini burocratiche fanno sì che passino dei mesi prima che vengano contabilizzate”, spiega Andrea De Donno, titolare di due aziende del settore (di cui una in liquidazione) e membro del direttivo Iliia. “Il vero problema – continua De Donno – è che poi il ministero della Giustizia stanzia fondi notevolmente inferiori rispetto alle richieste delle procure. E i tempi sono biblici: si arriva a due anni per vedersi pagare una fattura. Il paradosso è che aziende con utili e fatturati in crescita sono costrette a chiudere proprio per i mancati pagamenti”. Solo cinque anni fa, le aziende del comparto erano 250. Ora son 98. “A questo bisogna aggiungere che c’è stato un calo del 30 per cento della richiesta di intercettazioni. In generale sono diminuiti, negli ultimi anni, i fondi stanziati. E sono stati ritoccati al ribasso i listini”. Questa scarsa efficienza da parte del ministero può essere letta come una volontà di ostacolare le intercettazioni? “E’ una lettura possibile – spiega De Donno – ma noi siamo solo imprenditori e non vogliamo schierarci politicamente”.
Le aziende fanno appello al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e al premier Silvio Berlusconi “perché possa essere varato un emendamento urgente al ddl di stabilità in grado di programmare, già per il 2011, uno stanziamento idoneo a colmare il peso del debito contratto dal ministero della Giustizia”. “I risultati ottenuti dallo Stato, dalle forze di polizia e dalla magistratura per assicurare alla giustizia importanti criminali – sottolinea Iliia – hanno prodotto negli ultimi 2 anni un recupero di valore complessivo di 15 miliardi e mezzo di euro, di cui 2,5 miliardi di contanti depositati sul Fondo Unico Giustizia: un bilancio che stimola orgoglio nazionale, senso dello Stato e della giustizia, ma che non è stato utilizzato per colmare il debito e scongiurare lo stato di crisi delle imprese che lavorano silenziosamente a fianco delle forze dell’ordine e della magistratura inquirente nelle fasi di intelligence investigative e di monitoraggio del territorio nella lotta al crimine”.
Al di là dei disagi, non è comunque controproducente dire no allo Stato che è di fatto il datore di lavoro esclusivo di queste aziende? “Certo bisogna reinventarsi, ma non possiamo continuare così”, spiega De Donno: “Molte aziende possono riciclarsi lavorando per paesi esteri, specialmente dell’Est europeo. Altre possono fare sicurezza per grandi aziende. Quel che è certo è che non si può lavorare senza essere pagati”.
Cronaca
“Lo Stato ci deve 500 milioni”. Così le aziende che fanno intercettazioni dicono basta
Le imprese del settore da domani diranno "no" alle richieste delle procure: "Gravi danni per le indagini future e per quelle in atto". Il ministero ha tagliato gli stanziamenti e paga con due anni di ritardo
Hanno comprato una pagina del Corriere della Sera rivolgendosi al presidente della Repubblica e al premier. E poi hanno diramato un comunicato stampa durissimo, intitolato: “Comparto intercettazioni, stop ai lavori”. Le aziende che, per conto delle procure, si occupano di intercettazioni telefoniche e consulenze tecnologiche alle indagini (ad esempio microtelecamere) annunciano la serrata, “perché – spiega l’Iliia, associazione che li rappresenta – il ministero della Giustizia ha un debito nei nostri confronti di 500 milioni”. Così, da domani, le procure non potranno più avviare intercettazioni su utenze telefoniche di persone indagate che ritengono meritevoli di attenzione, perché le società incaricate hanno deciso di non accettare nuovi incarichi. Uno stop che, spiega il comunicato, “provocherà un evidente pregiudizio dell’attività investigativa futura e non potrà assicurare anche il regolare espletamento degli incarichi in corso con grave danno per le indagini già in atto”.
“Noi emettiamo fattura alle procure, ma le lungaggini burocratiche fanno sì che passino dei mesi prima che vengano contabilizzate”, spiega Andrea De Donno, titolare di due aziende del settore (di cui una in liquidazione) e membro del direttivo Iliia. “Il vero problema – continua De Donno – è che poi il ministero della Giustizia stanzia fondi notevolmente inferiori rispetto alle richieste delle procure. E i tempi sono biblici: si arriva a due anni per vedersi pagare una fattura. Il paradosso è che aziende con utili e fatturati in crescita sono costrette a chiudere proprio per i mancati pagamenti”. Solo cinque anni fa, le aziende del comparto erano 250. Ora son 98. “A questo bisogna aggiungere che c’è stato un calo del 30 per cento della richiesta di intercettazioni. In generale sono diminuiti, negli ultimi anni, i fondi stanziati. E sono stati ritoccati al ribasso i listini”. Questa scarsa efficienza da parte del ministero può essere letta come una volontà di ostacolare le intercettazioni? “E’ una lettura possibile – spiega De Donno – ma noi siamo solo imprenditori e non vogliamo schierarci politicamente”.
Le aziende fanno appello al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e al premier Silvio Berlusconi “perché possa essere varato un emendamento urgente al ddl di stabilità in grado di programmare, già per il 2011, uno stanziamento idoneo a colmare il peso del debito contratto dal ministero della Giustizia”. “I risultati ottenuti dallo Stato, dalle forze di polizia e dalla magistratura per assicurare alla giustizia importanti criminali – sottolinea Iliia – hanno prodotto negli ultimi 2 anni un recupero di valore complessivo di 15 miliardi e mezzo di euro, di cui 2,5 miliardi di contanti depositati sul Fondo Unico Giustizia: un bilancio che stimola orgoglio nazionale, senso dello Stato e della giustizia, ma che non è stato utilizzato per colmare il debito e scongiurare lo stato di crisi delle imprese che lavorano silenziosamente a fianco delle forze dell’ordine e della magistratura inquirente nelle fasi di intelligence investigative e di monitoraggio del territorio nella lotta al crimine”.
Al di là dei disagi, non è comunque controproducente dire no allo Stato che è di fatto il datore di lavoro esclusivo di queste aziende? “Certo bisogna reinventarsi, ma non possiamo continuare così”, spiega De Donno: “Molte aziende possono riciclarsi lavorando per paesi esteri, specialmente dell’Est europeo. Altre possono fare sicurezza per grandi aziende. Quel che è certo è che non si può lavorare senza essere pagati”.
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Strage di Capodanno a New Orleans: 10 morti. “Il killer ucciso era un ex militare Usa, aveva con sé la bandiera dell’Isis”. Per l’Fbi non è il solo responsabile
Politica
Il governo italiano chiede all’Iran il “rilascio immediato” di Cecilia Sala e “garanzie sulle condizioni di detenzione” della giornalista
Tel Aviv, 1 gen. (Adnkronos) - E' stallo nei negoziati tra Hamas e Israele per arrivare a un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e al rilascio degli ostaggi ancora trattenuti nell'enclave palestinese. Tanto che un accordo risulta alquanto improbabile prima che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden lasci l'incarico al suo successore Donald Trump. Lo scrive il Wall Street Journal citando mediatori arabi, secondo i quali Hamas sta insistendo he Israele si impegni a rispettare una tregua permanente nella Striscia di Gaza, condizione che Tel Aviv continua a respingere.
La mancanza di progressi nei colloqui è un duro colpo per il team del presidente Biden, che ha investito molto tempo e capitale politico spingendo inutilmente per un accordo, scrive il Wall Street Journal. Anche per i palestinesi di Gaza, stanchi di oltre un anno di combattimenti e privazioni, è una grande delusione tanto che hanno chiesto sui social media a Hamas di accettare un accordo che aiuterebbe a porre fine alla guerra.
Intanto in Israele le famiglie degli ostaggi stanno esercitando forti pressioni sul primo ministro Benjamin Netanyahu affinché raggiunga un accordo che garantisca la loro liberazione, sostenendo che ogni giorno di prigionia mette a rischio la loro vita e la loro salute.
Le speranze di un accordo tra Israele e Hamas erano aumentate dopo che Hezbollah aveva accettato le condizioni per un cessate il fuoco in Libano. Ma i colloqui si sono arenati man mano che si entrava nei dettagli ed entrambe le parti hanno indurito le loro posizioni. I mediatori hanno detto che Israele ha insistito sul fatto di ricevere solo ostaggi vivi in qualsiasi scambio e si è rifiutato di approvare il rilascio di alcuni dei detenuti palestinesi, mentre Hamas ha ripreso la sua richiesta di porre fine alla guerra.
L'ufficio di Netanyahu ha rifiutato una richiesta di commento da parte del Wall Street Journal, ma ha pubblicamente accusato Hamas di rinnegare i suoi impegni. Hamas ha invece accusato Israele di aver cambiato le sue richieste. ma ha detto che i negoziati, seppur ritardati, non sono ancora falliti.
Washington, 1 gen. (Adnkronos) - Un Cybertruck di Tesla è esploso a Las Vegas, nei pressi dell'ingresso del Trump International Hotel. Nello scoppio una persona ha perso la vita e altre sette sono rimaste ferite, riportano i media statunitensi. Secondo la polizia, l'esplosione è avvenuta nell'area parcheggiatori dell'hotel.
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - Un uomo armato ha aperto il fuoco a Cetinje, in Montenegro, uccidendo sette persone, tra cui bambini. Le autorità riferiscono che il sospettato è ancora in libertà. La Polizia ha invitato i cittadini a non uscire dalle abitazioni, mentre ancora sono in corso le ricerche dell'aggressore.
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - L'Italia ha chiesto al governo dell'Iran la ''liberazione immediata'' della giornalista italiana Cecilia Sala e "garanzie totali sulle sue condizioni di detenzione". E' quanto si apprende dalla Farnesina. Tali richieste sono contenute in una nota verbale che il ministero degli Esteri italiano ha consegnato al governo iraniano attraverso l'ambasciatrice a Teheran Paola Amadei.
La nota si inserisce nell'ambito del lavoro che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sta portando avanti con la premier Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano per arrivare a una rapida e positiva soluzione della vicenda.
Sala è accusata di aver violato "le leggi della Repubblica islamica dell'Iran". Entrata in Iran con visto giornalistico il 14 dicembre, la giornalista si trova in isolamento nel carcere di Evin da oltre 10 giorni.
"Interpreto, in queste ore, l’angoscia di tutti per la detenzione di Cecilia Sala. Le siamo vicini in attesa di rivederla al più presto in Italia”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine anno. "Quanto avviene segnala ancora una volta il valore della libera informazione. Tanti giornalisti rischiano la vita per documentare quel che accade nelle sciagurate guerre ai confini dell’Europa, in Medio Oriente e altrove. Spesso pagano a caro prezzo il servizio che rendono alla comunità", ha sottolineato il capo dello Stato (VIDEO).
Brescia, 1 gen. (Adnkronos) - Una bambina di tre anni è rimasta gravemente ferita da un colpo partito da una pistola. E' accaduto in un'abitazione a Gardone Val Trompia in provincia di Brescia e sul posto sono intervenuti i carabinieri. La pistola e le munizioni, a quanto si apprende, erano legalmente detenute dal padre. Da una primissima ricostruzione il colpo sarebbe partito accidentalmente mentre la bambina maneggiava l'arma trovata in casa. Sull'accaduto sono in corso le indagini dei carabinieri.
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - L'Italia ha chiesto al governo iraniano la ''liberazione immediata'' della giornalista italiana Cecilia Sala e "garanzie totali sulle sue condizioni di detenzione". E' quanto si apprende dalla Farnesina. Tali richieste sono contenute in una nota verbale che il ministero degli Esteri italiano ha consegnato al governo iraniano attraverso l'ambasciatrice a Teheran Paola Amadei.
La nota si inserisce nell'ambito del lavoro che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sta portando avanti con la premier Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano per arrivare a una rapida e positiva soluzione della vicenda.
Cecilia Sala è accusata di aver violato "le leggi della Repubblica islamica dell'Iran". Entrata in Iran con visto giornalistico il 14 dicembre, la giornalista si trova in isolamento nel carcere di Evin da oltre 10 giorni.
“Interpreto, in queste ore, l’angoscia di tutti per la detenzione di Cecilia Sala. Le siamo vicini in attesa di rivederla al più presto in Italia”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine anno. "Quanto avviene segnala ancora una volta il valore della libera informazione. Tanti giornalisti rischiano la vita per documentare quel che accade nelle sciagurate guerre ai confini dell’Europa, in Medio Oriente e altrove. Spesso pagano a caro prezzo il servizio che rendono alla comunità", ha sottolineato il capo dello Stato (VIDEO).
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - "Tra le cose belle dell'1 gennaio c'è la fine della Presidenza di turno Ue all'Ungheria e questa procedura che ricorda che l’Unione si fonda sui diritti". Lo scrive l'eurodeputato Pd, Pierfrancesco Maran, sui social sul taglio fondi Ue all'Ungheria.