Il Consorzio del Chianti Classico ha indetto un’assemblea, il 3 di dicembre, per cambiare il disciplinare di produzione: non al fine di ridurre la percentuale o il numero dei vitigni complementari (definiti perfino migliorativi anziché, più opportunamente, omologanti) da assemblare al Sangiovese, e dunque affinare la qualità e la riconoscibilità dei vini. Non sia mai. Piuttosto occorrerà discutere modifiche per smaltire la quantità, giacché il Chianti Classico, si legge nella nota di convocazione del Consorzio “è gravato da strutturali eccedenze produttive che quest’ultimo biennio ha reso ancora più evidenti”.

Il territorio del Chianti Classico consta di circa 7200 ettari  di vigna da cui si producono circa 30 milioni di litri di vino all’anno. Rammentiamo che negli ultimi due anni il Consorzio ha dapprima bloccato il 20% delle vendite, poi ha ridotto le rese del 20%. Dunque il Consiglio di Amministrazione “ha individuato due prospettive di medio termine volte ad un effettivo riassetto della denominazione”, da discutere venerdì prossimo in assemblea:

1) “Modifica del disciplinare Docg con introduzione di una nuova tipologia di Chianti Classico che si differenzi dal vino di annata per caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche meno strutturate e per l’anticipata immissione al consumo… la denominazione Chianti Classico si articolerebbe quindi attraverso un Chianti Classico simil giovane (nome di tipologia da individuare), un Chianti Classico di annata, un Chianti Classico Riserva, quest’ultimi entrambi con la possibilità di rivendicare anche l’appellazione comunale”.

2) “Una nuova denominazione di origine tale da comprendere tutta la superficie vitata ricadente nella zona di produzione del Chianti Classico. Il relativo disciplinare dovrà avere dei parametri meno restrittivi rispetto alle Docg Chianti Classico e dovrà prevedere una base ampelografica compatibile con tutte le produzioni alternative al Chianti Classico compreso i Supertuscans (sic!)… Affinché una nuova Doc risulti appetibile… essa deve essere caratterizzata da un nome forte e riconoscibile… che la rende sinergica e sottordinata (sic!) alla denominazione Chianti Classico“.

Traducendo: non si vende più Chianti, giacché oggi se ne produce troppo, quindi o si fa ad esempio un Rosso del Chianti che costi di meno, e sia ancora più semplice e meno costoso; o si fa una nuova Doc, come si è pensato a Montalcino, chiamandola ad esempio Doc Gallo Nero, e la si usa per tutti quegli ettari di vitigni internazionali piantati negli ultimi vent’anni, anche in aree non vocate, che oggi non si riescono più a vendere. Ciò sfruttando il nome del Chianti Classico.

Insomma, come ho scritto altrove, si amplia il concetto di “vino d’origine”. Per annichilarne finalmente la riconoscibilità e continuare ad abbassare i prezzi. Trovandosi a competere nel mercato globale con le produzioni di massa, coi paesi dove fare vino costa infinitamente meno. Fino a svilire ogni denominazione di origine. Se infatti si trovano già Chianti al supermercato che costano 2 euro, come è possibile proporre modifiche del disciplinare, per creare nuove tipologie di vini che costino meno?

“Questa è anche la mia perplessità come produttore – commenta Marco Pallanti, presidente del Consorzio del Chianti Classico e proprietario della rinomata azienda Castello di Ama – ed è per questo che facciamo un’assemblea, perché intervengano tutti i soci a decidere quale sia il futuro: se accettare una delle due proposte del Consiglio o respingerle entrambe. Non bisogna dimenticare che nei prossimi anni aumenterà la quantità di litri prodotti nel Chianti Classico, in quanto c’è una parte di vigneti che sono stati rinnovati di recente, e solo in futuro raggiungeranno il massimo della produttività. Il mercato odierno del Chianti, in circa dieci paesi, già non riesce ad assorbire tutta la produzione, pertanto ci sarà molto lavoro da fare nel marketing. Inoltre l’assemblea è fatta anche allo scopo di mettere compratori e venditori di vino attorno a uno stesso tavolo, per evitare eccessive oscillazioni del prezzo dei vini. Difatti il mercato del Chianti ha dimostrato nei decenni di essere ciclico: il prezzo del vino sfuso sale a dismisura, tanto che i grandi imbottigliatori non riescono più a comprarlo, per poi crollare a picco, tanto da non coprire più nemmeno i costi di produzione delle aziende vinicole. Del resto il Chianti incarna un paradosso: oggi chiamiamo Chianti un vino che si produce al di fuori della zona del Chianti, e Chianti Classico un vino che si produce nella zona del Chianti”.

È quindi opportuno usare la denominazione Chianti per vini che vanno dai 2 ai 50 euro? Si sente dire che non è più possibile sopravvivere, per un’azienda non molto conosciuta, con soli 10 ettari di vigna. Ma come è invece possibile vendere a 1,30 euro ai supermercati un vino che dovrebbe essere al vertice della vitivinicoltura di qualità in Italia? E dunque quanto può costare produrlo?

“Leggendo la convocazione all’assemblea sono rimasto basito”, dice Fabrizio Bianchi, proprietario di Castello di Monsanto, ossia una delle aziende che meglio combina alta qualità a quantità nel Chianti, producendo vini che durano decenni: “Proporre queste modifiche non ha alcun senso, se non quello di contribuire a distruggere l’immagine del Chianti. Ma non mi meraviglio, qua manca un programma di lavoro, un’idea di marketing, e si vive alla giornata con iniziative astruse. Prima hanno fatto tutta una battaglia, strombettando, per arrivare a togliere i vitigni storici a bacca bianca nel Chianti, con cui si facevano vini più semplici e pronti, e ora vogliono fare vini più semplici col Cabernet e Merlot, addirittura inventandosi nuovi nomi! In fondo non è cambiato nulla: quando sono arrivato, all’inizio degli anni Sessanta, la maggior parte dei produttori faceva ancora coltura mista, fra vigna e altro, e io fui uno dei primi a piantare solo vigne. E oggi pensi che per tutelare il territorio, spiantano i vigneti e fanno impianti di fotovoltaico, sulle vigne in pendenza!”

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