Caro compagno Ferrero,
Siamo entrambi comunisti di vecchia data e spero si condivida l’impianto di fondo del nostro modo di essere e di pensare. Ti scrivo quindi per sottoporti una questione, della quale suppongo tu non sappia assolutamente nulla e che credo non sia dovuta a nient’altro che a meccanismi semiautomatici connaturati con organizzazioni complesse come un partito. Una questione che si potrebbe giudicare piccola senonché ci vanno di mezzo delle persone…
Vado al sodo. Trentun anni fa mi sono trasferito a vivere a pochi chilometri da Casa del Diavolo, ridente paese della Cintura Rossa a nord di Perugia. Una catena di paesi nati sull’antica strada romana che si sono sviluppati negli anni ’50 con i mezzadri che abbandonavano i latifondi dove si faceva la fame. Gente dura, 80% comunisti. C’era la Casa del Popolo e il c’era il Mulino Popolare. Una Casa del Popolo costruita lavorando la domenica e tassandosi, prima che fosse costruita la chiesa, perché da queste parti Marx viene prima di Dio. La chiesa poi fu costruita subito fuori il paese, qualcuno mormora malignamente che, per decenza, il parroco non voleva che vi fosse una casa di Dio proprio dentro i confini della Casa del Diavolo.
Io, mio padre, mia madre sostenemmo questi compagni e loro sostennero noi. Con una serata di Mistero Buffo ci si fece il campo per la danza sui pattini a rotelle, che a Casa del Diavolo è una grande passione delle ragazzine e quindi di tutti. Organizzavamo assieme corsi di prevenzione sanitaria, feste con ballo liscio e sfilate di moda ecologica autoprodotta. Poi arrivarono le scissioni. I compagni dissidenti uscirono dal Pds e aderirono a Rifondazione Comunista. Fu un momento tragico anche umanamente, con amicizie di una vita che si laceravano. Poi lentamente ci fu la ripresa emotiva. Son gente dura i comunisti… E facemmo insieme la prima Festa Comunista, fuori dalla Casa del Popolo. Ebbi l’onore di disegnare un manifesto che da queste parti divenne famoso: c’era il Diavolo che ballava con una donna bellissima e sopra la scritta: “I comunisti arballeno!” I compagni della sezione dovettero stamparlo due volte perché andava a ruba.
Vorrei chiarire, per capirsi meglio, che io non facevo parte del Pci prima e non facevo parte del Prc dopo. Per me siamo tutti comunisti, al di là delle sigle. In questi anni ho continuato a collaborare con tutti i partiti della sinistra e a volte siamo riusciti anche a concretizzare iniziative unitarie. Comunque, a questo punto, i compagni della sezione decidono di costruire una nuova Casa del Popolo. Riescono a ottenere dal Pds un indennizzo di 69 milioni di lire per la vecchia Casa, cioè – nonostante le risse fratricide verbalmente anche violente (qui si parla a senza ipocrisie) – viene giustamente riconosciuto dai compagni del Pds che non si potevano cacciare i compagni del Prc dalla Casa comune che anche essi avevano costruito (e in prima fila) senza riconoscere loro un indennizzo.
Così si fa la nuova Casa. E si dice chiaro e tondo: questa volta la Casa resterà sempre di tutti i comunisti. E per sancire questa pluralità, questo concetto di casa aperta, la battezzano Casa dei Popoli (così ci si confonde con la Casa del Popolo, e si danno gli appuntamenti sbagliati. Per fortuna sono vicine). Mesi di lavoro di decine di compagni, partendo da un capannone industriale sgarrupato e con una discarica intorno, tirano fuori materiali edilizi, altri soldi con la partecipazione della gente del paese, e a colpi di piccone e cazzuola costruiscono una sala che può contenere più di 500 persone per il ballo e il teatro, una cucina attrezzata, un grandissimo prato, il parcheggio… poi l’inaugurazione con la festa e Grassi e Bertinotti.
Passa il tempo e succede l’impensabile: i Comunisti Italiani (Pdci) si scindono dal Prc e guarda caso, molti tra quelli che si erano maggiormente impegnati per costruire la Casa del Popolo, si trovano un’altra volta senza casa. Epporcamiseria! E stavolta non c’è neppure un indennizzo! Poi la storia va avanti. Recentemente la Casa dei Popoli è ben poco vissuta. Si mormora addirittura che Prc la voglia vendere. Poi ecco che, buona notizia, Prc e Pdci hanno formato la Federazione della Sinistra. E vai! Il problema sarebbe risolto, i divorziati tornano assieme e si può ripartire con la Casa dei Popoli come una volta. Invece no, perché contemporaneamente un gruppo di compagni dei Comunisti Italiani sono passati a Sel di Vendola. Ma porca sfiga reazionaria! Io gliel’ho anche detto a Giuliano Casciari, infaticabile comandante ribelle: forse è meglio che vai in Chiapas a farti benedire da Marcos! Ti spezzi sempre la schiena e poi sei senza casa!
Comunque caro Ferrero, non so come la vedi tu, ma a mio parere sarebbe giusto umanamente e politicamente che la Casa dei Popoli non fosse venduta, perché è un bene di questa comunità, costruito con il contributo di molti, anche fuori dal partito. Non si potrebbe creare un comitato di arbitri neutrali, o di paceri, se preferisci, con lo scopo di riaprire uno spazio culturale che altrimenti resterebbe per lo più inutilizzato se non venduto? Si tratta di uno spazio eccezionale, si potrebbe organizzare un cartellone di concerti e di spettacoli teatrali, corsi per i ragazzi, sviluppare di nuovo iniziative solidali e comunitarie. E su questo io mi ci impegno personalmente. E sono sicuro che ne potrebbe uscir fuori qualche cosa di molto interessante e utile per tutti. Abbiamo bisogno di spazi vitali per la cultura e per la politica.
Oggi i compagni di Casa Del Diavolo, dopo tutte queste scissioni e rotture, sul piano umano sono delusi, amareggiati. Qui l’iniziativa politica è ridotta al lumicino. Non c’è più fiducia in nessuno, al di là dei discorsi. Questo paese è stato massacrato da logiche di politiche che per i più sono incomprensibili, aliene. Credo che se il Prc trovasse una soluzione per condividere un bene che gli appartiene legalmente ma non eticamente, con le persone che questo bene lo hanno costruito con le loro mani, farebbe un’operazione di giustizia. Ma ridarebbe anche a tutta la gente di queste parti un’idea diversa di quello che la politica potrebbe essere, alla vigilia di questo crollo epocale del berlusconismo. Il nostro paese sta attraversando un momento gravissimo e abbiamo bisogno di gesti che sappiano comunicare una rinascita del Movimento, che raccolgano la sfida di un’era e di una cultura che sono cambiate. Dobbiamo reinventare la politica se vogliamo tornare a vincere. E credo che partire da gesti apparentemente piccoli sia percorrere un sentiero illuminato.