Dodici morti (undici ragazze e il loro compagno Dario). Soltanto quattro gli studenti sopravvissuti, insieme all’insegnante di tedesco, in quella seconda A dell’Istituto Salvemini: le due Federica, Milena e Daniele, che in vent’anni non si sono mai persi di vista. Casalecchio di Reno, dieci minuti da Bologna, 6 dicembre 1990. Uno dei giorni più tristi della Repubblica, dodici vite interrotte dallo schianto di un velivolo militare impazzito, abbandonato dal pilota Bruno Viviani, lanciatosi col paracadute poco prima. Sono appena passate le 9 e mezza di una mattina di scuola come tante per Deborah Alutto, Laura Armaroli, Sara Baroncini, Laura Corazza, Tiziana De Leo, Antonella Ferrari, Alessandra Gennari, Dario Lucchini, Elisabetta Patrizi, Elena Righetti, Carmen Schirinzi e Alessandra Venturi.
Il boato, la finestra dell’aula in frantumi, la parete si squarcia e il piccolo aereo senza più pilota uccide ed esplode. Due anni e sei mesi di reclusione in primo grado (1995) per Bruno Viviani e due suoi superiori dell’Aeronautica militare, Roberto Corsini e Eugenio Brega. Pene cancellate dall’appello (1997: il fatto non costituisce reato) e dalla Cassazione (1998: “Comportamento egregio” del pilota). Dodici morti, quindici anni appena la loro età, più di ottanta feriti, alcuni ne portano ancora i segni, ma zero colpevoli, nessuno paga, con lo Stato schierato a difesa dei militari, contro le vittime: “Una delle offese più grandi fu proprio la decisione dell’Avvocatura dello Stato, che tra una scuola statale e l’Aeronautica difese i militari. Quel pilota non fu neppure messo a terra nell’attesa del giudizio. Hanno fatto tutti carriera. Di mia figlia mi è rimasto il tragico ricordo di quel che rimaneva del suo corpo, quello choc vissuto al centro di medicina legale dopo una mattinata trascorsa tra l’angoscia e la speranza di ritrovarla ancora viva”. Vittorio Gennari, vent’anni dopo, tra i muri di quell’aula, ritorna, non solo con le parole, a quel 6 dicembre, come se non fosse passato un solo giorno.
Adesso in quell’edificio, che era la succursale della scuola superiore Salvemini, hanno sede diverse associazioni, tra cui ovviamente quella dei genitori dei ragazzi della 2a A e il Centro per le vittime di reati. Il coordinatore è Gianni Devani, vice-preside del Salvemini nel 1990. A Casalecchio, dopo quel 6 dicembre, si sono incrociate le vite di tante persone, sono nate amicizie, anno dopo anno sono state versate lacrime insieme, non solo nel giorno dell’anniversario.
Roberto Alutto, il papà di Deborah, spiega il senso del Centro per le vittime sorto proprio là, dove quel maledetto piccolo aereo di addestramento militare cambiò la loro storia per sempre: “Il nostro impegno qui è servito, serve, a fare in modo che si possa tradurre ogni giorno in realtà il sogno delle nostre ragazze e di Dario. Per dimostrare che accanto allo Stato che abbandona non ne manca un altro, fatto di cittadini e anche di amministratori locali, che sono a pieno diritto la speranza di un’Italia diversa”.
Come Simone Gamberini, oggi sindaco di Casalecchio di Reno, studente del Salvemini nel 1990: “Ero rappresentante in consiglio d’Istituto, il vice-preside Devani ci chiamò per informarci di quanto si sapeva quella mattina. Un aereo era caduto sulla nostra succursale di via del Fanciullo. Mi trovavo in un’altra sede, insieme ad alcuni compagni accorsi subito. Il traffico era bloccato, tutto era caos, non c’era ancora la minima percezione della portata di una tragedia che ha segnato poi nel profondo le nostre vite e le nostre scelte future”. Ad esempio quella di Valeria Gennari, appena 6 anni nel ‘90, sorellina di Alessandra, che oggi è una ragazza impegnata nel volontariato, nell’assistenza di anziani e disabili, come racconta orgoglioso papà Vittorio.
La tragedia, le lacrime, la lotta processuale, la disillusione per uno Stato che abbandona e proprio per questo la voglia di prenderselo quello Stato, con l’impegno diretto: “Mi hanno anche accusato più volte di esser stato strumentalizzato o di aver strumentalizzato – spiega Vittorio Gennari – ma c’è un abisso tra gli esponenti politici dei governi con cui abbiamo avuto a che fare, eccezion fatta per Romano Prodi che si impegnò per una giusta soluzione rispetto ai risarcimenti, e le amministrazioni locali, dal sindaco di allora, Ghino Collina a quello di oggi”.
Ormai da anni, aggiunge Roberto Alutto, “giace dimenticata in qualche cassetto del Parlamento la proposta di legge del senatore Walter Vitali per riconoscere il ruolo dei familiari delle vittime: un altro pessimo segnale che ci indica come a un certo Stato non interessino i cittadini, gran parte della classe politica pensa esclusivamente ai propri interessi”. Il sindaco Gamberini racconta: “Ci siamo sentiti in quegli anni molto distanti da chi rappresentava le più alte istituzioni del Paese, sensazione di disagio che oggi avverto di nuovo”
di Franz Baraggino e Giampiero Calapà