Imbavagliare anche internet ? L’idea, non nuova per la verità, ed è stata rilanciata dal ministro dell’industria francese Besson. Come era prevedibile il pretesto è arrivato dalla pubblicazione dei documenti riservati da parte di Wikileaks. “Mettono in pericolo la sicurezza degli stati e delle persone…”, dunque, bisognerà provvedere ad oscurare il sito; parole più o meno simili usa da sempre il governo cinese, quando, con la scusa della sicurezza nazionale, pretende di oscurare i siti sgraditi e di stringere il bavaglio sulla bocca dei cittadini , affinché nulla sappiano sulle malefatte dei loro governanti. Si può pensare quello che si vuole dei documenti finiti in rete, è giusto e doveroso porsi delle domande e interrogarsi sulle finalità della operazione in atto, ma non esiste un solo ragionevole motivo per accettare una qualsiasi forma di censura.
Per quale ragione ad una oligarchia può essere concesso di scatenare una guerra fondata su clamorose bugie mediatiche e su dossier falsi, e invece si dovrebbe impedire la pubblicazione di atti che svelano questi misfatti e rivelano quanta ipocrisia si celi dietro la retorica dei diritti umani e della democrazia esportata a colpi di cacciabombardieri? Per quale ragione abbiamo dovuto sentire narrare in Italia, a reti quasi unificate, le mirabolanti prestazioni estere del piccolo Cesare, ed invece oggi non dovremmo conoscere i giudizi sprezzanti e ridicolizzanti espressi dai diplomatici internazionali sulle medesime gesta del millantatore di Arcore?
Ci hanno trapanato le orecchie a forza di proclami sulla bellezza della globalizzazione, sulla irresistibile ascesa di una società della informazione, ed ora si vorrebbe limitare l’uso delle nuove tecnologie affinché non disturbino il manovratore? Per quale ragione dovrebbero essere consentite pratiche illecite, ma non dovrebbe essere consentita la conoscenza di tali pratiche che pure hanno determinato conseguenze gravissime sulle vite di milioni di persone?
Qualsiasi limitazione all’uso della rete, in una comunità internazionale dominata dalla concentrazione delle fonti e dai conflitti di interesse, avrebbe come unica conseguenza la ulteriore drastica riduzione del diritto ad essere informati, renderebbe più povero il già povero pluralismo informativo, allargherebbe il divario tra le nazioni, favorirebbe la ulteriore concentrazione del potere in pochissime mani.
Non a caso le pulsioni dal governo francese hanno già trovato attente orecchie altrove, e soprattutto in Italia, dove, dopo il tentativo del ministro Romani di registrare siti, blog, web tv, si sta ora tentando attraverso un regolamento di competenza della autorità di garanzia delle comunicazioni, di dare una stretta al settore, di imporre nuove forme di certificazione, di usare il cavallo di Troia del diritto d’autore per colpire tutti quei siti e quelle esperienze che fanno uso di filmati e comunque di immagini in movimento.
Forse non ci riusciranno, ma è comunque significativo che continuino a provarci, e ci proveranno ancora perché ormai la rete non è più un fenomeno di nicchia e sfugge alle forme di controllo elaborate per mettere le briglia ai tradizionali mezzi di comunicazione.
Per queste ragioni ci sembra sacrosanta la proposta lanciata da Stefano Rodotà e da Riccardo Luna di Wired, e che propone l’elaborazione di una sorta di articolo 21-bis della Costituzione che statuisca il diritto al libero accesso alla rete e che vieti qualsiasi forma di censura e di controllo amministrativo. Si tratta di una provocazione intelligente perché ci fa uscire tutti da una fase puramente difensiva per passare invece alla rivendicazione di nuovi diritti sociali e di libertà.
Proposte simili dovrebbero davvero essere condivise da quanti hanno a cuore la Costituzione e non sopportano forma alcuna di oscurità e di oscurantismo, anzi dovrebbero diventare una bandiera per uno schieramento che oltre a mandare a casa Berlusconi, volesse davvero seppellire il berlusconismo e la sub cultura del controllo integrale di ogni forma di autonoma espressione delle opinioni e delle idee.
Chi volesse sottoscrivere l’iniziativa potrà farlo sia scrivendo a questo blog, sia firmando il testo della petizione riportato sul sito di Wired e ampiamente citato da Federico Mello nella sua rigorosa rubrica sul Fatto del 3 dicembre 2010.