L’Italia è in attesa del 14 dicembre. Manco fosse la finale dei mondiali. Ancora una settimana e saremo là, nel giorno del giudizio della politica italiana o, in alternativa, nell’ennesima puntata di una soap opera che come da tradizione non finisce mai, con matrimoni, divorzi, morti, riapparizioni, salvataggi all’ultimo secondo, tradimenti, scandali, salite e discese.
Bisogna dire la verità: gli sceneggiatori sono stati bravi. Si può discutere fin che si vuole dell’allontanamento dei cittadini dalla politica, ma non sono poi così sicuro che gli italiani siano lontani dai politici. Tutti ne parliamo, anche perché è impossibile non farlo.
In fondo, che differenza c’è tra i nostri leader nazionali e i tronisti di Uomini e Donne? Il principio è del tutto analogo: trova un profilo valoriale, socio-demografico, culturale, in cui ogni cittadino/utente/elettore/telespettatore possa identificarsi, possa trovare i suoi difetti, entrare in empatia proiettando ansie, sogni, paure e aspirazioni, ed ecco a voi la democrazia televisiva, una guerra tra persone e mai tra progetti, in cui il voto è così plebiscitario (in fondo, ogni appuntamento elettorale è un referendum pro o contro qualcuno) da assomigliare a un televoto.
E così, andando da sinistra a destra ed elencando solo i leader nazionali di grido, abbiamo un omosessuale cattolico, un tecnico bravo ma senza leadership, un brusco giudice capopopolo, Un Divorziato Cattolico, un neo-ex berlusconiano, un brusco padano capopopolo, un Premier Presidente e Rubacuori. C’è di tutto. C’è l’alto e il basso (di altezza, di cultura che di morale), l’ex-comunista e l’ex-fascista, il nuovo vecchio e il vecchio nuovo, il settentrionale e il meridionale, l’Europa e l’anti-Europa, lo stato e l’anti-Stato, la giustizia e l’ingiustizia, l’individualista e il collettivista, il socialista e il capitalista. Come fai a non tifare per uno di loro, a non scegliere chi mandare in nomination, a non emozionarti e a chiederti del loro passato, degli amori, delle passioni, delle debolezze?
Sia chiaro: la democrazia televisiva non è una prerogativa italiana. Sarah Palin va in giro con gli orsi in Alaska, Sarkozy non è più il capo di stato francese ma il marito di Carla Bruni, Angela Merkel va a fare la spesa e vive in una grigia abitazione del centro di Berlino, David Cameron ha subito il lutto più terribile, la morte di un figlio epilettico a soli sei anni, Putin guida gli elicotteri e i mezzi spazzaneve. Wikileaks ha recentemente fatto il resto, consegnando profili impietosi restituiti dagli ambasciatori americani in giro per il mondo e restituendoci la certezza che la politica oggi è soprattutto questo, che ci piaccia o no.
Ma è altrettanto vero che Berlusconi ne sa più di me e di Floris sulla televisione, avendone tre e gestendone altre tre attraverso la politica (nessuno ha sottolineato che quella frase a Ballarò rappresenta un gigantesco lapsus freudiano, ossia l’ammissione del fatto che l’Italia è una videocrazia).
Si dice che il Presidente mollerà la presa dopo moltissime tribolazioni, che ci sarà un’uscita di scena pirotecnica, che ce lo ricorderemo per sempre. Proprio perché ci credo, mi domando da settimane: Berlusconi, perché non vai ad Antigua? No, non è come Craxi, le monetine non gliele lancia nessuno, il suo consenso è al 112%, è il miglior leader dell’universo mondo. E poi è incensurato (ah, forse qualcuno se n’è dimenticato, ma il 14 dicembre sapremo anche di che morte morirà il legittimo impedimento), va forte con le donne, ha sistemato i figli, è il Presidente più titolato della storia del calcio mondiale, riesce a convincere politici di ogni estrazione politica (e di ogni estratto conto) a votare per lui, non ha cicatrici dopo le aggressioni, potrebbe vincere le elezioni anche dopo non aver fatto praticamente nulla per 16 anni. Può lasciare, è al top della carriera, come Pete Sampras quando si ritirò dopo aver vinto un torneo del Grande Slam.
Che problema c’è? Tanto non ti arrestano, non ti muovono un capello. Fatti suggerire dagli amici: a Luciano Gaucci non è successo nulla, tu hai bisogno di riposo e di festeggiare, devi organizzare i Tea Party, devi occuparti delle tue aziende impegnate nei nuovi mercati dei mezzi di comunicazione di massa, devi far andare in prescrizione tutti i processi e non devi preoccuparti di queste cose terrene.
E poi, sai che bello senza i conti sbagliati sui parlamentari di La Russa, senza le banche di Verdini, senza Carfagna e Bocchino, senza ponti sullo Stretto, senza mafia, camorra e ‘ndrangheta, senza satira, senza Inter, senza Fini, senza comunisti, senza né Saviano né Dell’Utri, senza ex-mogli che sono solo gelose del tuo successo, senza federalismo, senza regole. Puoi invitare Putin quando vuoi e nessuno avrà niente da obiettare.
Nel frattempo in Italia vincerà la sinistra, litigheranno anche loro e dopo due anni, come sempre, si lasceranno. Repubblica, l’Unità e Il Fatto Quotidiano cadranno in depressione, e anche io non mi sentirò poi così bene. Così come la sinistra, che non saprà più di cosa parlare e con chi prendersela. Nessuno farà più satira, nessuno riempirà le piazze, sarà una noia mortale. Tutti ti chiederanno di tornare, e tu lo farai, in un ennesimo e impareggiabile slancio di altruismo e umanità. Avrai 77, 78 anni, le cure per la lotta al cancro e per l’allungamento della vita avranno fatto altri passi da gigante. Nel 2015 il mondo sarà tuo, di nuovo.
Vai Silvio, dimettiti, c’è una casa che ti aspetta. E non è circondariale.