In Italia una donna su due è fuori dal mercato del lavoro. In Europa peggio di noi fa solo Malta. Restano al palo le politiche anti discriminatorie nell’istruzione.
Questi dati sono raccolti in un recente sondaggio dell’Eurostat (Ufficio Statistico delle Comunità Europee) (scarica il documento con i dati paese per paese) sulla presenza delle donne del mercato del lavoro dei 27 paesi Ue relativo al 2009. Una italiana su due (il 48,9%) tra i 15 e i 64 anni non ha un lavoro. Un dato pesante che viene un po’ mitigato se si va a prendere il range tra i 25 e i 54 anni, dove “solo” una su (il 35.5%) non ha un impiego.
Diversa la fotografia scattata nel resto d’Europa, dove la media della percentuale delle disoccupate tra i 15 e i 64 anni è al 35,7% (e quella tra i 25 e i 54 anni al 22.1%).
Secondo Eurostat tra le cause principali dei dati di casa nostra c’è la “cura della famiglia“. Insomma, più madri e casalinghe che donne in carriera. Peccato però che l’Italia abbia uno dei tassi di natalità più bassi del Vecchio continente (9,6 bambini per mille abitanti, rispetto alla media Ue di 10,9).
Allora come si giustificano così poche donne lavoratrici nel Belpaese? La risposta sembra arrivare da uno studio presentato dalla Commissione europea la scorsa estate sui sistemi educativi dei 27 Paesi membri. Condotto da “Eurydice”, rete europea d’informazione sull’istruzione, e sotto il coordinamento dell’Education, Audiovisual and Culture Executive Agency (EACEA), lo studio rivela come nel nostro paese siano ancora forti le discriminazioni sessuali nell’istruzione scolastica e come non si stia facendo quasi nulla per contrastarle.
In parole povere, un sistema scolastico sessista non può che produrre una società sessista. Secondo gli esperti, sono proprio gli stereotipi legati al genere che influenzano la possibilità di fare carriera in certe professioni.
E’ quella che in gergo viene definita “discriminazione verticale” che nello Stivale tocca tutti i settori. A partire dalla presenza delle donne nel parlamento italiano. Con le elezioni 2008 la presenza femminile a Montecitorio ha raggiunto il 21% e a Palazzo Madama il 18%. Non male si direbbe, peccato però che il potere effettivo delle parlamentari non è cambiato di tanto: il numero di commissioni con presidente o vicepresidente donna è identico alla legislatura precedente, rispettivamente 2 e 6.
Fatte salve alcune eccezioni, tutti i Paesi europei hanno messo in pratica politiche per la parità tra i sessi nell’istruzione o intendono dotarsene al più presto. Tra le poche eccezioni, in compagnia delle repubbliche ex-sovietiche come Estonia, Polonia, Ungheria e Slovacchia, figura proprio l’Italia. Alcuni Paesi si sono impegnati nella lotta alle discriminazioni di genere (Francia, Lussemburgo, Lituania), altri hanno preferito affrontare i diversi rendimenti scolastici tra maschi e femmine (Romania, Danimarca, Galles), altri ancora hanno cercato di aumentare il numero dei presidi e direttori donna (Lettonia, Cipro e Norvegia). Il Belgio (parte fiamminga) e l’Inghilterra hanno addirittura intrapreso tutti e tre gli approcci. Il Belpaese niente. Viene classificato dallo studio tra quei “Paesi sprovvisti di politiche sostanziali in materia di parità tra i sessi nel campo dell’istruzione”.
Nessun intervento neppure per quanto riguarda la prevenzione degli abbandoni scolastici (non universitari), nonostante l’Italia registri un 15.9 % di ritiri tra le ragazze e un 22.6 % tra i ragazzi, ben al di sopra della media UE (13.2 % e 17.2 %). Le notizie non migliorano per quanto riguarda l’orientamento professionale: ragazzi e ragazze continuino a scegliere lavori che rispecchiano i tradizionali ruoli di genere, tanto che alcune professioni continuano a rimanere tabù per le donne.
Certo l’Europa sta facendo qualche autogol nel sostegno all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, si pensi al recente rifiuto del Consiglio Ue alla proposta di estendere il limite minimo obbligatorio del congedo di maternità a 20 settimane e con retribuzione piena. La proposta era stata votata a grande maggioranza dal Parlamento europeo lo scorso ottobre e lascia con ogni probabilità presagire uno scontro istituzionale interno all’Ue. In Italia le 20 settimane di maternità sono già legge. Almeno in questo siamo all’avanguardia.