Sarà la causa più importante del 2011 negli Stati Uniti. Quella economicamente più rilevante. Quella più ricca di conseguenze legali, politiche, civili. La Corte Suprema ha accettato di considerare la class action intentata da un milione e mezzo di impiegate di Wal-Mart, che lamentano discriminazioni salariali e negli avanzamenti di carriera. Dal verdetto della Corte dipenderà il futuro di altre centinaia di cause per discriminazione, oltre al concetto stesso di class action nella pratica legale americana (e probabilmente globale).
Questa storia ha inizio nel 2001, quando Betty Dukes, una donna afro-americana di 54 anni, decide di fare causa a Wal-Mart, gigante della distribuzione USA (la prima società al mondo per ricavi, con 3 milioni e mezzo di impiegati e migliaia di punti vendita). Betty, che ha lavorato per sette anni come cassiera nel negozio Wal-Mart di Pittsburg, in California, lamenta di essere stata discriminata. Non solo non le è mai stata data la possibilità di migliorare posizione e reddito, ma è stata anche punita per futili motivi (aveva fatto acquisti personali durante la pausa pranzo). “Volevo essere promossa. Volevo fare un po’ di soldi”, spiega la Dukes, che attribuisce i sogni infranti al fatto di essere nera e soprattutto donna. Da Wal-Mart, del resto, il 77% dei manager sono uomini. Le donne rappresentano il 66% del personale alla cassa.
Sulla storia di Betty Dukes si gettano presto tutti quei gruppi che da anni cercano di portare Wal-Mart in tribunale per la politica di bassi salari e pessime condizioni di lavoro. A offrire assistenza legale la società The Impact Fund, che si batte per la giustizia sociale. Si muovono il National Women’s Law Center e la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), la principale associazione per i diritti degli afro-americani. Nel 2004 Betty viene votata da Mr. Magazine come “donna dell’anno”. Su di lei la giornalista Liz Featherstone scrive un libro, definendola “la nuova Rosa Parks”. Il suo caso si allarga. Altre cinque donne si aggiungono alla causa intentata da Betty, in rappresentanza di un milione e mezzo di lavoratrici che aprono una clamorosa class action nei confronti di Wal-Mart. L’accusa è sempre la stessa: violazione del Civil Rights Act del 1964, che vieta qualsiasi tipo di discriminazione sulla base di sesso, credo o etnia. Dukes, e le altre querelanti, sostengono che Wal-Mart paga le donne sistematicamente meno degli uomini, promuovendole anche con minor frequenza a posizioni di responsabilità.
Inizia così la più importante causa di discriminazione sul lavoro nella storia americana. Non è solo Wal-Mart a temere per l’esito della vicenda (la società ha continuato a sostenere che è stata la frustrazione e la voglia di vendetta della Dukes, a motivarne le scelte). La Camera di Commercio americana e altre decine di imprese, terrorizzate dalla possibilità che milioni di lavoratori americani aprano cause simili, fanno partire una potente opera di lobbying su istituzioni, tribunali, opinione pubblica. La battaglia legale, combattuta ai diversi livelli del sistema giudiziario americano, si concentra soprattutto su un punto: la possibilità di una class action così vasta, tale da coinvolgere quasi un milione e mezzo di donne. Wal-Mart ha infatti sempre negato l’esistenza di una esplicita direttiva aziendale volta a privilegiare gli uomini. Episodi di discriminazione, nei 3400 grandi magazzini distribuiti per il Paese, ci possono essere stati. Non un disegno complessivo per pagare meno le donne.
Dopo anni di scontri, in tribunale e fuori, la causa raggiunge ora la Corte Suprema, che non dovrà dare ragione a una delle parti, ma più semplicemente, decidere se un milione e mezzo di donne – lavoratrici con sedi di lavoro, mansioni, responsabilità diverse – possono unirsi adducendo la stessa identica lesione dei propri diritti. Dal verdetto della Corte, dipende il futuro delle class action negli Stati Uniti. Se i giudici decideranno a favore di Betty Dukes e delle altre, la causa collettiva andrà avanti, e Wal-Mart sarà con ogni probabilità chiamata a pagare un risarcimento record, nell’ordine di parecchi miliardi di dollari. Se invece la Corte darà ragione a Wal-Mart, la macro-causa si disperderà in una miriade di mini-cause, tali da non incidere davvero sul sistema legale ed economico americano.
Mondo economico e gruppi per i diritti civili attendono con ansia il verdetto. Lo attende, soprattutto, Betty Dukes, che in questi dieci anni non ha visto cambiare di molto la sua vita. Guadagna, sempre da Wal-Mart, 15 dollari all’ora. Non può permettersi una casa, e a 63 anni abita ancora con la madre. Talvolta non ha i soldi neppure per il pranzo. Ma non ha smesso di sperare che le cose possano andare meglio.