Tutti i nodi di spesa rimandati al decreto di fine anno. Ma sull'Italia pesa il rischio di una nuova manovra a gennaio
Vengono approvati, con consensi bipartisan, ordini del giorno sulla necessità di ripristinare i 300 milioni tolti al fondo per il 5 per mille (soldi finiti alle scuole paritarie e ai giornali di parito), sull’urgenza di dare soldi alle Regioni per il trasporto pubblico locale e sulla volontà di prorogare di un anno il termine per la regolarizzazione degli immobili non ancora accatastati. Ma la differenza tra un ordine del giorno e un emendamento è che l’odg è solo una presa di posizione, che non muove un euro.
Le uniche modifiche al testo approntato dal ministro del Tesoro Giulio Tremonti, quindi, restano quelle del maxiemendamento da 5,8 miliardi approvato alla Camera in commissione Bilancio. Neppure la crisi dell’Irlanda e l’improvviso crollo di fiducia nel debito italiano sui mercati finanziari hanno spinto a ripensare l’impianto del provvedimento.
Il risultato è che, dopo l’approvazione, ci sono due critiche opposte. L’Mpa e parte dell’opposizione contestano le riduzioni di spesa, a cominciare da quelle sul 5 per mille, e aspettano il decreto milleproroghe di fine anno che, stando alle promesse di Tremonti, troverà qualche risorsa (sempre che ci sia un governo per scriverlo).
Da Fli e da un pezzo del Pd, invece, viene rilevato che la crisi finanziaria e le revisioni al ribasso delle previsioni di crescita spingeranno presto a fare un’altra manovra. Secondo Nens, il centro studi dell’ex ministro Vincenzo Visco, già a gennaio il governo dorvrà trovare almento sette miliardi, tagliando spese o aumentando le tasse. Sempre se il Consiglio europeo del 16 dicembre, tanto temuto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, non imporrà un risanamento più drastico per allinearsi agli standard di rigore pretesi dalla Germania.