Nonostante l'arresto di Julian Assange, El Pais, Guardian e Le Monde non smettono di pubblicare le comunicazioni dei diplomatici americani. Nuove rivelazioni su Spagna, Tunisia, Arabia Saudita, Libia, Serbia, Iran, Russia e Siria. Ex agenti Cia e Fbi promuovono un appello per l'hacker australiano
Anche con Assange in carcere in Inghilterra, non si ferma il quotidiano flusso di rivelazioni che sta scuotendo la rete diplomatica americana. In arrivo anche un libro sui segreti dell’”uomo anti-segreti”. L’ex portavoce nonchè numero due di WikiLeaks, Daniel Domscheit-Berg, pubblicherà infatti il prossimo 27 gennaio con l’editore tedesco Econ Verlag il volume ‘Dentro WikiLeaks: il mio periodo al website più pericoloso del mondo. L’intento è semplice: “Raccontare la storia di WikiLeaks come non è ancora stato fatto”. Domscheit-Berg, classe 1978, scienziato informatico, è stato il volto e la voce dell’organizzazione di Assange per tre anni. Poi, lo scorso settembre, se ne è andato sbattendo la porta: troppo potere, ha detto alla stampa, è concentrato nelle mani del fondatore. Morale: “mancanza di trasparenza” sulle decisioni prese e “molto risentimento” all’interno dell’organizzazione. Domscheit-Berg, conosciuto anche con il nome di Daniel Schmitt, ha persino suggerito l’idea di mettere su un sito concorrente a WikiLeaks.
La Spagna offre ospitalità ai militari americani – Il governo socialista spagnolo delpremier Josè Luis Zapatero ha offerto agli Usa nel 2008 di ospitare in Adalusia, vicino a Cadice, il comando militare americano per l’Africa (Africom), stando alle ultime rivelazioni di Wikileaks pubblicate oggi da El Pais. Il governo spagnolo ha fatto di tutto per ricucire con l’amministrazione americana dopo lo strappo del 2004 provocato dal ritiro unilaterale dei soldati di Madrid dall’Iraq, confermano i messaggi riservati dei diplomatici Usa: “Tutte le porte sono aperte per voi. Ho detto ai miei che l’ambasciatore degli Stati Uniti e rappresentante di Obama non è un altro ambasciatore, ma qualcuno di speciale”, ha detto in gennaio il premier Josè Luis Zapatero rivolgendosi al nuovo capo della missione diplomatica Usa in Spagna Alan Solomont. Washington però ha preferito non spostare da Stoccarda, in Germania, il nuovo comando per l’Africa, che Madrid aveva proposto di ospitare nella base andalusa di Rota, sulla costa dello stretto di Gibilterra. “Vogliamo rafforzare le nostre eccellenti relazioni con gli Stati Uniti, e vogliamo che voi sappiate che potete contare sul mio governo e fidarvi di noi” ha detto ancora nel gennaio scorso Zapatero all’ambasciatore Solomont, secondo i cablogrammi dell’ambasciata Usa.
Tunisia: “La Famiglia” di Ben Ali – L’ultima rivelazione di WikiLeaks riguarda l’ambasciatore americano a Tunisi, Robert F. Godec, autore di dispacci datati giugno 2008 e luglio 2009. Nel primo, l’ambasciatore denuncia la corruzione in Tunisia, soffermandosi poi sulla famiglia del presidente Ben Ali in un capitolo apposito. “E’ spesso citata come la connessione della corruzione tunisina – scrive Godec -. Definita come una quasi-mafia. Dire ‘La Famiglia” basta per intendere a chi ti riferisci”. Sulla stessa linea il secondo dispaccio, del luglio 2009. “Il problema: un regime sclerotico e una corruzione crescente”, è il titolo di un paragrafo.
Tunisini da Guantanamo, scontro diplomatico – Riad Nasri e Adel Ben Mabrouk, i due tunisini provenienti dal carcere Usa di Guantanamo ‘affidati’ all’Italia e giunti a Milano il 30 novembre 2009, nel giugno di quell’anno furono al centro di un serrato confronto tra ambasciatori occidentali a Tunisi. Lo si legge in un altro dispaccio dell’ambasciatore Godec, che il 22 giugno del 2009 incontrò gli ambasciatori Kerll (Germania), Antonio D’Andria (Italia), Chris O’Connor (Gb), Serge Degallaix (Francia) e Bruno Picard (Canada). “L’ambasciatore italiano – si legge nel cable – dice che l’Italia ha avuto pochi problemi in passato con individui trasferiti in Tunisia. Perché il governo tunisino dovrebbe maltrattare o torturare i prigionieri trasferiti da Guantanamo?”. Contro le certezze del legato italiano si espressero lo stesso Godec e l’ambasciatore canadese, affermando di avere in mano rapporti e prove di torture sui detenuti provenienti da Guantanamo nelle carceri tunisine.
Botox e trapianto di capelli per Gheddafi – Come riferisce oggi El Pais, nella speciale ‘cartella medica’ di Muammar Gheddafi, disegnata dai diplomatici Usa nei dispacci, c’è anche un trapianto di capelli andato male, oltre alle iniezioni di botox. Il leader libico nel 2008 si è sottoposto a un trapianto di capelli, “però ha subito una strana reazione immunitaria all’ intervento e i capelli trapiantati sono stati tolti”. La sua salute è tenuta d’occhio da vicino dai diplomatici Usa. “Non sembra stare del tutto bene”, hanno scritto nel 2009. Gheddafi sembrava fra l’altro aver perso in parte il controllo dei muscoli del volto, un possibile indizio di un ictus. In realtà, secondo i diplomatici americani, gli era stato iniettato del botox per ragioni estetiche. Gheddafi viene dipinto come un uomo “molto presuntuoso”. Gli americani hanno seguito da vicino anche la saga dei figli di Gheddafi: Mutasim e Hanibal, “irritano diversi libici, che li considerano empi e imbarazzanti per il Paese”, mentre il terzo, Saif el Islam, che “si è opportunamente distinto dal resto della famiglia”, si presenta come “un umanista, filantropo e riformista” e viene considerato dall’ambasciatore Usa come il probabile erede del “trono di Gheddafi”.
Lockerbie, Gheddafi minacciò Londra – Il leader libico Muammar Gheddafi minacciò la Gran Bretagna di “enormi ripercussioni” se Abdel Basset al-Megrahi, il responsabile dell’attentato di Lockerbie, fosse morto nella prigione in cui era detenuto in Scozia. Lo affermano due nuovi cablogrammi diplomatici americani diffusi dal Guardian. “Senza tanti giri di parole, i libici hanno fatto sapere al governo di Sua Maestà che vi sarebbero enormi ripercussioni per le relazioni bilaterali fra Gran Bretagna e Libia” senza il rilascio in anticipo di al Megrahi, scrive il reggente dell’ambasciata americana a Londra, Richard LeBaron, nell’ottobre del 2008. Nel gennaio del 2009, l’ambasciatore americano a Tripoli, Gene Cretz, precisa che “minacce specifiche includono la cessazione immediata di qualsiasi transazione commerciale, la diminuzione di livello o il blocco delle relazioni politiche e proteste contro i siti ufficiali britannici”. Cretz sottolinea che “il regime libico mantiene un approccio essenzialmente criminale”. Al-Megrahi fu liberato dalle autorità giudiziarie scozzesi nell’agosto del 2009 per ragioni umanitarie, perché considerato in fin di vita. Decisione fortemente criticata dagli Stati Uniti.
Arabia Saudita, droga e prostitute – Eccessi di ogni genere si celano dietro il rigore religioso della famiglia reale saudita, secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche americane rivelate da Wikileaks e diffuse dal Guardian. Si racconta, per esempio, di una festa di Halloween organizzata lo scorso anno da un membro della famiglia reale, in cui andarono in fumo tutti i tabù della rigida morale islamica del regno wahabita. Nella villa super-sorvegliata di un facoltoso principe della famiglia al-Thunayan l’alcool scorreva a fiumi e non mancarono le prostitute. Il dispaccio, firmato dal console a Gedda, Martin Quinn, concludeva che “anche se in questo caso non ci sono testimoni diretti, l’uso di cocaina e l’hashish è consueto in questi ambienti sociali”. Alla festa, da cui venne tenuta lontana la polizia religiosa grazie alla protezione della famiglia reale saudita, parteciparono circa 150 persone, uomini e donne, in gran parte tra i 20 e i 30 anni.
Arabia Saudita, l’influenza sui giovani degli show americani – Il Guardian racconta anche come per gli ambasciatori americani a Gedda alcuni programmi della televisione Usa – Casalinghe disperate, Friends, o il Late Show di David Letterman – funzionino come deterrenti per i giovani sauditi attratti dall’estremismo e dalla jihad. Questi show televisivi funzionerebbero meglio dei programmi ufficiali anti estremismo dell’emittente sponsorizzata dagli Usa al-Hurra, che costano milioni di dollari ai contribuenti americani. In Arabia Saudita, questi programmi vengono trasmessi senza censura e con sottotitoli in arabo dal canale Mbc4. Secondo un messaggio della missione Usa intitolato ‘David Letterman: agente influente’, i programmi di al-Hurra (lanciato in tutto il Medio Oriente dopo l’invasione dell’Iraq del 2003) sono noiosi e spesso registrano incidenti, come quando fu mandato in onda una chiamata alle armi di Hezbollah contro Israele. I diplomatici Usa sottolineano come il fascino di attrici come Eva Longoria, Jennifer Aniston e David Schwimmer stimoli molto di più l’interesse dei ragazzi sauditi per tutto quel che è occidentale, molto più di tediose interviste con politici Usa trasmesse da al-Hurra (che è costata finora quasi 500 milioni di dollari). “Qui c’è sempre la guerra di idee e i programmi americani su Mbc e Rotana (un canale in parte proprietà di Rupert Murdoch, ndr) conquistano i sauditi molto più di al-Hurra ed altra propaganda americana”, hanno detto due dirigenti del gruppo televia un diplomatico americano nel corso di un incontro a Gedda. “I sauditi sono molto interessati al mondo esterno e tutti vorrebbero studiare negli Usa. Sono affascinati dalla cultura statunitense come mai prima d’ora”, dissero i due nel corso dell’incontro nel maggio 2009. Per il Guardian, la popolarità di questi canali è sorprendente, visto che Rotana ritrasmette Fox News, il canale ultraconservatore che attacca in continuazione il radicalismo islamico e ha sostenuto con forza l’invasione dell’Iraq. Un dirigente del canale al-Arabiya spiega poi che Mbc4 e Mbc5 “sono diventati popolari in angoli remoti e conservatori del Paese, dove non si vedono più beduini, ma ragazzi vestiti in abiti occidentali”. Secondo i diplomatici americani, ci sono temi nel cinema americano che affascinando i sauditi: l’onestà eroica contro la corruzione (come in Michael Clayton, con George Clooney) o rispetto della legge che supera il proprio interesse personale (come Al Pacino in Insomnia).
Riad ossessionata da Teheran – I file di Wikileaks continuano a mostrare un’Arabia Saudita ossessionata dall’Iran e da Hezbollah, considerato da più parti il braccio politico e armato di Teheran nel Libano. Il ministro degli Esteri della casa reale, Saud al Faisal, propose nel 2008 l’organizzazione di una “forza araba” da dispiegare a Beirut sotto la copertura dell’Onu e sostenuta dal contributo sul terreno di Stati Uniti e Nato. Un’assemblaggio simile non poteva non preoccupare Washington, che attraverso l’inviato in Iraq, David Satterfield, cercò di far ragionare i sauditi, timorosi che una sconfitta politica del premier libanese sunnita Fouad Siniora avrebbe spalancato le porte del potere al “Partito di Dio”, e dunque all’Iran, e convinti che “di tutti i fronti regionali in cui l’Iran consegue progressi, quello libanese è il più facile in cui vincere una battaglia per la pace”. Quanto a Unifil, i sauditi l’accusavano di inerzia. La forza di pace, che al suo interno vede anche un contingente italiano, avrebbe dovuto restare nel sud del Libano – ma non “con le mani in mano” – mentre la capitale avrebbe dovuto essere difesa anche da “forze navali e copertura aerea” fornite dalla Nato e dal Pentagono. Satterfield nicchiò sul piano che avrebbe visto il ritorno di soldati a stelle e strisce in Libano per la prima volta dal 1983, ed espresse al principe saudita forti perplessità sulla fattibilità “politica e militare” di un’operazione che difficilmente avrebbe avuto il sigillo delle Nazioni Unite. I file di Wikileaks sottolineano quanto drammatica e foriera di instabilità sia uno scisma tra sunniti e sciiti che si è trasformato, nel corso del tempo, in una corsa al predominio politico e anche militare nel Medio Oriente. Tra le prime rivelazioni del sito di Julian Assange alcune avevano per oggetto proprio la paura di Riad di fronte alle ambizioni di Teheran, tanto da spingere i sauditi a chiedere insistentemente a Washington, che vede nella famiglia reale un fattore di moderazione nel mondo arabo, di attaccare militarmente la Repubblica islamica.
Siria a Iran: “Guerra a Israele, non contate su noi” – Secondo informazioni raccolte in ambienti politici siriani dall’ambasciata Usa a Damasco, trapelate oggi attraverso Wikileaks e riprese dal giornale israeliano Yediot Ahronot, la Siria informò l’Iran di non essere disposta a farsi coinvolgere direttamente in una guerra con Israele in caso di attacco contro le installazioni nucleari di Teheran. Le informazioni sono contenute in un dispaccio riservato dell’ambasciata Usa datato 20 dicembre 2009. La posizione siriana sarebbe stata comunicata all’inizio di quello stesso mese a una delegazione iraniana giunta a Damasco con la sicurezza che l’attacco di Israele all’Iran “non è questione di se, ma di quando”. Per tutta risposta, la leadership siriana avrebbe avvertito gli ospiti di non aspettarsi una partecipazione delle forze siriane, né delle milizie sciite libanesi di Hezbollah o degli islamico-radicali palestinesi di Hamas. L’Iran, pare sia stato il messaggio, “è forte abbastanza” per difendere il suo programma nucleare ed eventualmente combattere contro Israele. Non solo: la Siria avrebbe escluso anche una propria partecipazione in caso di nuova guerra in Libano fra gli israeliani e Hezbollah.
La Serbia riconosca il Kosovo se vuole entrare nell’Ue – La Serbia non può vincere su due fronti, continuando a negare l’indipendenza del Kosovo e al tempo stesso entrare nell’Unione europea: è questo il contenuto di un messaggio riservato del ministero degli Esteri francese, diffuso dal sito Wikileaks. Come riferiscono oggi i media a Belgrado, in una nota del 22 febbraio scorso, il vicesegretario del ministero degli Esteri responsabile per l’Europa continentale, Roland Galarag, ha chiesto a Washington che Usa e Ue, insieme, facciano presente a Belgrado che non potrà vincere la disputa sul Kosovo e al tempo stesso aderire alla Ue. In tale nota, sempre secondo Wikileaks, Galarag chiede di scoraggiare la Serbia dal proporre una nuova risoluzione sul Kosovo. Sembra, ha aggiunto il diplomatico francese, che il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremic creda che Belgrado possa vincere la disputa sul Kosovo e entrare al tempo stesso nella Ue. “Usa e Ue – afferma Garalag nella sua nota – devono far capire a Belgrado che le cose non stanno così. La Serbia, osserva Galarag, deve riconoscere l’indipendenza del Kosovo se vuole entrare nell’Unione europea”.
In Europa mafia russa protetta da Mosca – Vari documenti diplomatici americani pubblicati da Le Monde riportano come la mafia russa in Europa rappresenti una nuova ‘piovra’ che beneficia di protezioni a Mosca. I documenti diplomatici mettono in evidenza la penetrazione della mafia russa in Europa, ponendo anche la questione dei legami tra l’ambiente criminale e il potere politico a Mosca. Le Monde cita a questo proposito alcuni file della diplomazia Usa che riportano le preoccupazioni del procuratore spagnolo Jose Grinda Gonzales, sottolineando come proprio la Spagna sia diventata una delle basi delle organizzazioni criminali russe. Secondo il procuratore, come riportato dalla ambasciata americana l’8 febbraio 2010, la Bielorussia, la Cecenia e la Russia sono quasi degli “Stati mafiosi” e “l’Ucraina lo diventerà”. Per “ciascuno di questi Stati – afferma ancora il procuratore – non si può fare differenza tra le attività del governo e quelle dei gruppi della criminalità organizzata”. Un’ulteriore conferma è quella del procuratore di Barcellona Fernando Bermejo, impegnato nella lotta alla mafia: il 29 settembre 2009, egli confida ad un diplomatico americano che “moltissimi” membri della mafia russa sono attivi in Catalogna. I documenti pubblicati da WikiLeaks evidenziano anche il ruolo della Bulgaria che, entrata a far parte dell’Unione europea nel gennaio 2007, è stata presa di mira dalla criminalità organizzata russa.
Gli “amici” di Assange – Il direttore di WikiLeaks non suscita sicuramente la simpatia della diplomazia e di chi ha cara la segretezza di documenti di Stato, ma tra coloro che tifano per Julian Assange ci sono anche persone che hanno maneggiato quei segreti per decenni e ritengono che rivelarli sia più utile che tenerli in un cassetto. Si tratta di un gruppo di ex agenti della Cia e dell’Fbi ed ex ufficiali del Pentagono. Tra loro anche Daniel Ellsberg, che nel 1971 fornì al New York Times e al Washington Post i Pentagon Papers. Respingendo le comparazioni che mettono in cattiva luce i files di Wikileaks rispetto alle carte che documentavano l’escalation americana nella guerra del Vietnam, Ellsberg afferma: “Ogni attacco fatto a Wikileaks e a Julian Assange è un attacco a me e alla decisione di rendere noti i Pentagon Papers”. Ellsberg, insieme ad ex analisti della Cia, ex agenti del FBI, l’ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, Craig Murray, e Larry Wilkerson, ex capo di gabinetto di Colin Powell hanno sottoscritto un appello, rintracciabile su www.accuracy.org.
Persino una fonte del Cremlino, le cui dichiarazioni sono state rilanciate dalle agenzie di stampa russa, ha dichiarato: “Il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, andrebbe non solo aiutato ma candidato al premio Nobel”. “Le organizzazioni non governative dovrebbero pensare a come aiutarlo. E forse potrebbe anche essere candidato al premio Nobel”, ha detto la fonte, probabilmente con una punta di ironia. All’indomani della pubblicazione dei documenti segreti, il presidente russo, Dmitri Medvedev, aveva affermato che le rivelazioni di Wikilealks “dimostrano il cinismo che prevale nelle valutazioni della politica estera degli Usa”.
(ER)