Da millenni, periodicamente si parla di crisi della religione. Etimologicamente potremmo dire che la religione, così come la superstizione, è ciò che rimane (religio-relitto, superstitio-superstite), una sorta di relitto superstite al diluvio dei valori precedenti. Alle religioni si accompagnano i riti e i rituali che sono il vestito esteriore delle credenze. Ma i riti non scompaiono, tutt’al più si trasformano.
Se vogliamo, il telegiornale delle 20.30 è un rito di tipo religioso perché ha una sua liturgia, che consiste in un pasto da consumarsi ascoltando la “parola”. Una volta (ma purtroppo anche adesso…) si diceva: “E’ vero, l’ho sentito al telegiornale”, dunque succede che la “parola” è sinonimo di “verità”. I direttori più o meno servili dei telegiornali italiani ci stanno dimostrando che la “parola” può essere verità anche quando la somma delle parole racconta una bugia. Si può ad esempio dire che tizio è sospettato di un reato e immediatamente parlare di un altro tizio che un reato l’ha commesso veramente; a questo punto la nostra intelligenza associativa unirà le due immagini: abbiamo due reati e due tizi, dunque i due tizi sono criminali.
Non occorre calunniare veramente per essere calunniosi. Si può dire la verità con le parole e contraddirla con le immagini. Io posso montare immagini con un uomo che parla e una folla festante, ma non necessariamente l’uomo sta parlando proprio a quella folla e quella folla non fa necessariamente le feste proprio a quell’uomo. Tuttavia il ricordo che resterà nelle menti, anche nelle meno deboli, è quello di un uomo che parla ad una folla festante. Potrei addirittura, se fossi veramente perfido, cambiare la luce dello studio a seconda di quanto vorrei fosse gradevole la notizia che sto dando.
Il rito è fatto di sfumature a cui piano piano i fedeli tendono ad assuefarsi e le sfumature fanno lentamente cambiare i significati del rito stesso. Come l’ostia non è che il rimasuglio di un atto di cannibalismo e l’incenso non è che il rimasuglio dell’assunzione di sostanze allucinogene, relitti di credenze precedenti, come a celebrare il rito è una persona vestita in foggia molto antica, così possiamo far leggere il telegiornale a un giornalista. E’ chiaro che a leggere il telegiornale potrebbe essere un lettore, che non ha necessariamente a che fare con le notizie che legge, magari ha solo un bel modo di leggerle. Perché a leggere è un giornalista? Perché ciò sta a significare che c’è una redazione che ha confezionato il giornale e che quella è una voce “sacerdotale” e non laica, dunque la “verità” è assicurata dal “professionismo”.
Eppure quante bugie travestite da verità questi professionisti sottoscrivono! Ora sta ai fedeli di questo rito decidere se il rito abbia ancora un senso, ossia se c’è ancora una fede dietro a questa liturgia. E sta anche ai genitori stabilire se i loro figli dovranno assuefarsi a quei suoni tutte le sante sere che ci si mette a cena, assuefarsi al punto che non ne potranno più fare a meno quando saranno grandi. I sacramenti ci vengono impartiti fin da piccoli.