Come se quella che si mangiava spesso e volentieri nei freddi inverni degli anni ’60 fosse inferiore.
Con quel profumo d’olio che si mischiava a quello del parmigiano con cui mia madre arricchiva la sua omelette farcendola con un ridondante stracchino che fondeva dentro e che dopo le prime forchettate colava nel piatto dove si doveva porre rimedio alla sua tracimazione con una fetta di pane “raccattante”.
L’ insieme rendeva quel piatto un piatto da Campionato del Mondo.
Nel mentre Enrico Berliguer mi appariva per la prima volta in quella grigia televisione dove, con occhi abbassati per concentrazione di ascolto, prendeva appunti su ciò che gli veniva chiesto dai giornalisti di una tribuna politica del tempo. Rispondeva a tutti con chiarezza estrema. Severità e serietà emergevano da quel viso asciutto che poteva esplodere in un sorriso altrettanto fulminante per evidente onestà ed intelligenza affettiva.
Anche se Enrico quella volta alla domanda di un giornalista del Secolo, dopo averlo ascoltato, rispose con un perentorio e conclusivo: “Io non parlo con i Fascisti”. Segnò così la memoria di una intera generazione, nel bene e nel male.
Ho fatto una frittata con quel che avevo in casa e non sempre ho mia madre nella mia cucina perché in quel caso avrei lasciato a lei il comando.
Non sempre si ha quel che si vorrebbe. Alle volte ci si deve accontentare di un avanzo, magari di un primaverile fagiolino in umido o di una “brancatina” di patate fritte o meglio ancora di un pezzettino di lesso tritato. Se poi si ha voglia di far soccombere il solito amico francese, beh, in quel caso uno soffrigge fino al color rame delle abbondanti cipolle – rosse, bianche o come vi pare – e le incorpora nelle uova sbattute dove per vizio familiare aggiungo sempre una manciata di parmigiano. Sì, quando faccio le frittate mi sento un cuoco fortunato.
Se facessi il sindaco, e non lo farei mai, terrei in mente per la mia “politica” Enrico, non tanto per i fascisti, che pare non ce ne sia quasi più, ma per l’Etica necessaria che dovrebbe suggerire il mio agire. Ma se poi dovessi amministrare una città, che vi ricordo è cosa viva e va tenuta viva, giocoforza farei le frittate con quel che c’è. E d’altronde io, se fossi sindaco, non andrei a cena con B. ma con il primo ministro sì, anche se mi dovesse dare un solo tozzo di pane per la mia città, ci proverei.
Fare sempre di tutta erba un fascio è imprudente e alla fin fine irrilevante. Per far riemergere un sentire comune, basato giocoforza sulle regole di un dire sincera-mente libero e democratico, queste parole devono riemergere con la loro più profonda etimologica significanza.
Discernere e capire, criticare pronti anche a condannare. Ma non svilire attingendo dal pozzo del sentito dire. Questo non onora ma anzi disonora e ci rende muti parlanti di fatti inconsistenti. Amministrare è fare: fare asili, mantenere ospizi, piani culturali, piani stradali ecc ecc. Su questo starei accorto per fare cronaca attenta di una politica che alle volte è molto “disattenta”. Altro sono le urla urlate per vendere notizie avariate.
E voi postatori e lettori fatevi attenti. Da cuoco vi dico che non tutte le frittate diventano, vivaddio, omelette. Alle volte sono uova un po’ strapazzate.
Ma ascoltate e ricordate, ognuno per se stesso: “Fate del bene e fatelo sapere”. La domanda va sempre ascoltata, nella risposta sta invece la differenza degli uomini, dei momenti, dei contesti e dei ruoli. Altro non ho da dire intorno alla mia città e a chi l’amministra. Altro a questo punto è poco interessante. Spero mi si possa capire, perché vi è stato un tempo dove io ero senza memoria e come un imbecille ho urlato : “Beeee! Beeee! Berliguer” dandogli della pecora e un tempo che come un imbecille ho detto cose irripetibili come “Venduto!” parlando di Montanelli e del suo giornale. Sono cose di cui ancora mi vergogno e che non vi consiglio di provare.
Tenete presente, ma non ditelo ai fiorentini, che dell’olio fanno sana mania, che in casa mia per l’omelette ci si fonde un po’ di burro. Buon appetito.