La prima vittima di questa situazione è stato il Banco emiliano romagnolo. A causa della carenza liquidità dal 7 dicembre i clienti non possono ritirare né soldi dai propri conti, né titoli, né strumenti finanziari.
“Too big to fail” tradotto: “Troppo grande per fallire”. Il riferimento è alle banche e alle istituzioni finanziarie indicate come la causa principale della crisi. La storia è nota: si diceva che i giganti fossero così enormi da non poter crollare, ma non è stato così; avevano i piedi d’argilla. Da allora nulla è cambiato. Anzi. E’ appena cominciata l’era del “too small to save”. E a pagare il conto sono i correntisti. Anche in Italia dove Abi, Tremonti e top manager del credito non perdono occasione per ribadire che le banche sono solide.
Eppure i correntisti del Banco Emiliano Romagnolo hanno avuto una brutta sorpresa. Sul sito dell’home banking dell’istituto, il 7 dicembre è apparso questo messaggio: “Si comunica che, in relazione all’eccezionale carenza di liquidità, i Commissari di BER Banca, ai sensi dell’art. 74 del TUB, hanno adottato, previa autorizzazione della Banca d’Italia e per il periodo di un mese, il provvedimento di sospensione del pagamento delle passività di qualsiasi genere e la restituzione degli strumenti finanziari ai Clienti”.
Insomma dalla piccola banca bolognese (che fra gli azionisti conta anche la moglie di Pavarotti) i clienti non possono ritirare né soldi dai propri conti, né titoli, né strumenti finanziari. La Banca d’Italia parla di “circostanze eccezionali” e “insufficienza delle disponibilità liquide a far fronte alle passività in scadenza”. In sostanza, l’istituto sarebbe inciampato sulla mina derivati con conseguenti grosse perdite in bilancio. La stessa Vigilanza spiegava in una nota del 6 dicembre: “I Commissari straordinari del Banco Emiliano Romagnolo (Ber), in amministrazione straordinaria, con il parere favorevole del Comitato di Sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, hanno deliberato la sospensione del pagamento delle passività di qualsiasi genere e della restituzione degli strumenti finanziari alla clientela, ai sensi dell’art. 74 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB), per il periodo massimo di un mese, fatte salve eventuali proroghe”. Si sta dunque studiando un piano di intervento che, con il sostegno del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) e delle banche creditrici, realizzi la salvaguardia degli interessi della clientela. Ovvero i sudati risparmi dei correntisti.
Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi “copre” ogni intestatario di conto corrente (o conto deposito, anche se “vincolato”) fino a un massimo di 103mila euro per singola banca. In realtà non è un fondo perché non ha una dotazione di denaro già versato ex-ante, accumulato nel tempo ed investito (il che darebbe maggiore sicurezza e garanzia). È piuttosto un Consorzio di Banche che s’impegnano a pagare ex-post se una delle consorziate fallisce, ovvero sborsano i soldi sono in caso di bisogno perché dovrebbero averne accantonati un po’ nei loro bilanci. A questa tutela il Governo ne ha aggiunta un’altra. Nell’ottobre 2008 ha dichiarato che garantirà per tutto il 2009 i conti correnti affiancando il FITD. L’esecutivo non ha però specificato in che modo e con quali risorse farà fronte al suo eventuale intervento.
Eppure il caso del Banco romagnolo non è isolato. Anche Banca MB è sostanzialmente nella stessa situazione di BER (ed è tre volte più grossa). Dopo 16 mesi di commissariamento, la MB ha infatti applicato l’articolo 74 del testo unico della legge bancaria con il quale vengono bloccati i conti attivi dei clienti e tutti gli strumenti finanziari, ivi compresi quindi i titoli nominativi, che non rientrano comunque a far parte dell’attivo/passivo, salvo quelli presi in pegno a garanzia di finanziamenti. Chi ne fa le spese sono anche i dipendenti, che sembrano non poter beneficiare degli ammortizzatori sociali.
Ma non finisce qui. Dal 2005 a oggi 20 piccole banche sono state commissariate e molte altre sono state colpite da sanzioni. Tra queste c’è la Carim (Cassa di Risparmio di Rimini) che è stata “blindata” a ottobre. Il Tesoro, con decreto del 29 settembre 2010, emanato su proposta della Banca d’Italia, ha infatti disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo dell’istituto romagnolo e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria per gravi irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative, gravi perdite patrimoniali nonché per gravi inadempienze nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento del gruppo bancario, con particolare riferimento alla controllata Credito Industriale Sammarinese (CIS).
La gestione della banca è stata affidata agli organi straordinari, che operano sotto la supervisione della Banca d’Italia. La clientela, intanto, può continuare ad operare come in precedenza con la Carim che prosegue regolarmente la propria attività. Per ora. Nell’elenco delle banche commissariate compaiono poi il Gruppo Delta, Sedici Banca, BCC di San Vincenzo La Costa , BCC della Sibaritide, Banca Arner, Banca di Rimini, BCC Fiorentino (la banca di Denis Verdini), Credito di Romagna, Banca di Credito e Risparmio di Romagna. La lista circola sui blog di economia più cliccati (come Mercato Libero e il Grande Bluff) dove il tam tam è già partito: “occhio alle banche locali perché più esposte alla crisi del territorio e meno difendibili, diffidate se vi vogliono far sottoscrivere le loro obbligazioni, chiedete di poter controllare bilanci e sofferenze e soprattutto chiedete di accedere ai risultati dell’ultima ispezione di Banca d’Italia”. Insomma, si salvi chi può.
di Camilla Conti