Il nostro Paese al terzo posto nella classifica delle tasse più alte. Diffusi anche i dati sulla disoccupazione giovanile: Italia penultima nell'area dell'Organizzazione con il 21,7 per cento di ragazzi senza lavoro
Sale la pressione del fisco in Italia: dal 43,3 per cento del 2008 al 43,5 per cento del 2009 del prodotto interno lordo. E’ quanto riferisce l’Ocse nelle stime preliminari relative all’anno scorso contenute in “Revenue Statistics”. L’Italia supera così il Belgio (che nel 2009 ha visto il peso del fisco diminuire al 43,2 per cento dal 44,2 per cento del 2008) e sale al terzo posto nella classifica dei Paesi dove maggiore è il peso delle entrate. Prima dell’Italia nel 2009 si collocano solo la Danimarca (48,2 per cento del pil) e la Svezia (46,4 per cento).
Oltre a Danimarca, Svezia e Italia, i paesi Ocse che nel 2009 hanno registrato una pressione fiscale sopra il 40 per cento del pil sono Australia, Belgio, Finlandia, Francia e Norvegia. Il Messico con il 17,4 per cento e il Cile con il 18,2 per cento hanno registrato nel 2009 la più bassa pressione fiscale, seguiti da Stati Uniti (24 per cento) e Turchia (24,6 per cento). Mentre la maggior parte dei Paesi hanno visto una diminuzione della pressione tra 2008 e 2009, ce ne sono alcuni, come la stessa Italia, in cui il peso del fisco nell’anno è cresciuto. Gli incrementi più consistenti si registrano in Lussemburgo (dal 35,5 per cento del 2008 al 37,5 per cento del 2009) e in Svizzera (dal 29,1% al 30,3%).
Diffusi anche i dati sul tasso di disoccupazione, che nell’area Ocse sale all’8,6% a ottobre, lo 0,1% in più rispetto a settembre. A essere colpiti continuano a essere soprattutto i giovani, che hanno il doppio delle possibilità di trovarsi senza lavoro rispetto alle altre fasce d’età. E per l’Italia non ci sono buone notizie in quanto a occupazione giovanile: penultima tra i Paesi Ocse, con il 21,7% fa meglio solo dell’Ungheria, ferma al 18,1%, ed è ben al di sotto della media dei Paesi membri, 40,2%.
L’Ocse invita i governi ad occuparsi con urgenza del problema per scongiurare il rischio di “esclusione a lungo termine” per una larga parte delle nuove generazioni. Dall’inizio della crisi, riporta lo studio, nell’area Ocse ci sono 3,5 milioni di giovani disoccupati in più, e almeno 16,7 milioni di ragazzi sono nel cosiddetto ‘gruppo Neet’, né educazione né lavoro. Ma la cosa più preoccupante, sottolinea l’organizzazione parigina, è che tra questi ultimi solo 6,7 milioni sono in cerca di un impiego, mentre gli altri 10 milioni hanno smesso di cercare, scoraggiati dalla situazione. In questo contesto, aggiunge lo studio, i governi devono impegnarsi al più presto a “lanciare programmi di intervento che forniscano un’efficace assistenza alla ricerca di lavoro per i diversi gruppi di giovani”, con particolare attenzione alle categorie più a rischio, come gli immigrati o i ragazzi privi di titolo di studio. Inoltre, l’Ocse consiglia di “rinforzare l’apprendistato e altre forme di training integrato per giovani con competenze di basso livello” e di “incoraggiare le aziende ad assumere i giovani, fornendo sussidi temporanei, in particolare per le piccole e medie imprese”.