Di nuovo a Gaza e di nuovo via mare. Dopo la strage del maggio scorso, quando la marina israeliana attaccò il convoglio umanitario “Freedom Flottilla” uccidendo nove cittadini turchi, gli attivisti internazionali avevano promesso che sarebbero ritornati nella Striscia. Una promessa che sta diventando realtà. Infatti sei associazioni internazionali hanno dato vita alla coalizione della Freedom Flotilla 2.
La nuova missione umanitaria in terra di Palestina si annuncia ancora più grossa della precedente: venti navi pronte salpare in primavera e 400 paesi coinvolti, dal Canada alla Malesia.
Nei giorni scorsi è partito dall’India una carovana di aiuti umanitari che raggiungerà Gaza via terra.
Nel convoglio di navi è prevista anche la partecipazione di un’imbarcazione italiana: la “Stefano Chiarini”, dedicata al giornalista del Manifesto scomparso tre anni fa.
L’iniziativa è stata presentata nei giorni scorsi nella sede dell’Ordine nazionale dei giornalisti a Roma. Una decisione che ha fatto andare su tute le furie i giornalisti Fiamma Nirestein, Dimitri Buffa e molti esponenti della comunità ebraica romana che hanno chiesto le dimissioni del segretario nazionale Enzo Iacopino. Alle accuse l’esponente dell’Odg ha risposto che “i giornalisti italiani sanno cos’è la violenza e nessuno di loro simpatizza per Hamas, né è contento di vedere saltare in aria autobus di bambini israeliani da chi si fa esplodere per chissà quale motivo”.
Dal tavolo della presidenza hanno preso la parola i rappresentanti dei vari paesi coinvolti nell’iniziativa umanitaria.
Germano Monti, della coalizione italiana, si è detto orgoglioso: “La partecipazione di 60 associazioni del nostro paese testimonia che la Freedom Flotilla da noi è in moto.”
Fra gli interventi più attesi quello di Huseyin Oruc, rappresentante del’IHH turca (associazione che la Nirestein vorrebbe inserire nella black list delle organizzazioni terroristiche europee). Che ha detto: “la nostra attività è estesa a molti paesi, abbiamo fatto progetti per i rifugiati palestinesi ed adesso la nostra forza è aumentata. Avevamo sei, nove, navi, ora ne abbiamo circa 50. Siamo stati attaccati in acque internazionali, ci hanno messo in prigione e la nostra voce è stata ascoltata solo dopo le pressioni delle organizzazioni internazionali. Ritorniamo a Gaza, simbolo della violazione dei diritti umani.”
Dopo i fatti di maggio, la Turchia ha posto alcune condizioni ad Israele: la garanzia del ritorno dei partecipanti alla Freedom Flotilla dopo 24 ore; le scuse ufficiali; il risarcimento ai parenti delle vittime della Mavi Marmara; la restituzione di tutte le barche sequestrate senza condizioni; la fine dell’embargo a Gaza. Per ora, lo Stato ebraico ha risposto solo col risarcimento monetario.
I rappresentanti della colazione hanno poi annunciato che inviteranno i giornalisti a ispezionare le barche in modo da verificare che sulle imbarcazioni viaggeranno solo generi di conforto per la popolazione civile di Gaza. Ma come reagirà Israele? In attesa di avere una posizione ufficiale del governo di Tel Aviv, i cittadini di Gaza attendono con fiducia la nuova missione.
di Stefania Pavone