Purtroppo le raccomandazioni di Saviano ai suoi coetanei che protestano violentemente, su La Repubblica di oggi, a mio giudizio portano completamente fuori strada. Anche lui avvalora la tesi dei pochi violenti che hanno rovinato una bella manifestazione. Invece, come testimoniato ieri dalle telecamere di Exit oltre che da cronisti più attenti e meno ideologici come Bonini e Bianconi, il ragionamento sulla violenza non può essere più ricondotto alla vecchia logica, “autonomi violenti” da una parte (per non parlare di una delle più grandi invenzioni giornalistiche degli ultimi anni, i “black block”), giovani colorati pacifisti non violenti dall’altra.

Il fatto è che siamo in un paese dove Saviano non può scendere in piazza a manifestare perché condannato a morte dalla camorra, e dunque lo immagino compulsivamente che guarda le immagini e legge i blog che riempiono la rete. Questo distacco dalla realtà, del quale temo non sia consapevole, lo ha portato in una specie di paradiso mediatico blindato, dove incontra premi Nobel, scrittori impegnati, coraggiosi giornalisti, uomini della scorta malpagati che proteggono la sua vita e agenti dal portafoglio gonfio che proteggono i suoi legittimi profitti. Ma se con Gomorra ha capito prima di tutti, o almeno è stato capace di comunicare a tutti cosa stava diventando la criminalità organizzata a livello mondiale e a far vedere a tutti chi erano e cosa sognavano i bravi ragazzi camorristi, è riuscito a farlo perché viene da quel mondo e in quel mondo si è immerso. Allo stesso modo dovrebbe immergersi nella gioventù precarizzata di oggi, un mix di ragazzi di provincia che si reggono sulle spalle di papà, giovani metropolitani che vanno proletarizzandosi, e tantissimi delusi della politica tradizionale. Invece Saviano si confina nel qualunquismo di sinistra, che prevede accuse alla polizia infiltrata (le ridicole posizioni del Pd di ieri), dissociazione dalla violenza, che a quel punto per forza deve essere “di pochi”, e poi tanta fiducia in un mondo migliore. Inoltre non si capisce come un intellettuale mondiale come lui possa trascurare le rivolte di Grecia e Inghilterra, almeno.

Durante il ventennio berlusconiano i voti sono andati a destra, lo share a sinistra. Un mio amico scrittore l’ultima volta che ha vinto Berlusconi mi ha detto: “Bene, abbiamo altri cinque anni durante i quali film, libri, giornali potranno guadagnare parlando male di lui”. Tanto più i partiti di sinistra hanno perso credibilità, tanto più i giovani seguono Santoro, Saviano, leggono il Fatto. Uno studente occupante ci ha detto che aveva adorato la nostra inchiesta sulle “cartolarizzazioni”. Cose impensabili, che dovrebbero produrre una grande coscienza di massa della realtà in cui viviamo, finalmente. Ma la sinistra è stata finora sconfitta dai media. Non da quelli al soldo di Berlusconi, bensì dal fuoco amico. Se Fazio e Saviano vengono visti da 10 milioni di persone, quei 10 milioni di coscienze regaleranno la sconfitta a Berlusconi?

Non c’è una terza via: se si vogliono cambiare le cose, quelli che hanno campato sulle spalle di Berlusconi devono scendere in politica, e non  basta dire “cari studenti, la violenza non va bene, eravate così carini quando appendevate striscioni sui monumenti”. Se c’è l’ambizione di essere il Pasolini del nuovo millennio, bisogna intuire il nuovo che avanza, bello o brutto che sia, e non fare prediche.  Se poi scende in campo, sarò il primo a votarlo.

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