Il murales bolognese "Il quarto stato cyborg"Ma se le cose stanno davvero così, perché non scendono in piazza a spaccare tutto?”. Non sapete quante volte mi sono sentito rivolgere questa domanda. Esattamente quattro anni fa ho scritto un libro: “L’Italia spiegata a mio nonno”: lo pubblicai nel febbraio 2007 in Pdf sul mio blog (ora inattivo) e poi uscì in libreria per Mondadori nel settembre successivo (ora si scarica qui). Il libro è un saggio-rap su pensioni/precarietà/mancanza di welfare/gerontocrazia.

Naturalmente non sono stato l’unico ad occuparmi di questi temi. Lo hanno fatto autorevolmente Tito Boeri con Vincenzo Galasso (Contro i giovani. Come l’Italia sta tradendo le nuove generazioni); Alessandro Rosina e Elisabetta Ambrosi (Non è un paese per giovani); l’hanno fatto con opere letterarie Michela Murgia (Il mondo deve sapere); Aldo Nove (Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese); Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa (Generazione 1000 euro); e tanti altri.

Il tema della “generazione P” senza futuro, pensioni, diritti, carriere, sicurezze, senza prospettive e con futuro bloccato, insomma, non è di oggi, ma è al centro di un dibattito culturale (e di alcune iniziative politiche) lungo almeno dieci anni. Ma fino a oggi, quando si parlava di questi temi durante presentazioni di libri, dibattiti, tavole rotonde, trasmissioni radiofoniche e televisive , campagne online; quando si denunciava la precarietà, si sottolineavano le incredibili ingiustizie della gerontocrazia italiana; la replica appunto era sempre quella: “Voi la fate troppo nera, se le cose stessero davvero così, i giovani sarebbero già per strada a spaccare tutto”.

All’indomani della “guerra di Roma”, gli stessi – giornalisti, politici, opinionisti della domenica – che si sono gonfiati il petto con questa arguta osservazione, appaiono per le Cassandre che erano.

I ragazzi arrestati negli scontri, sono nella stragrande maggioranza ventenni, senza precedenti esperienze politiche (solo nel 2005 molti di questi avevano quattordici anni).

I loro compagni scesi in piazza in questi mesi, come tutti noi, condannano senza distinguo la violenza. Ma aggiungono: “Invece di indietreggiare, di isolare i violenti – spiega oggi su Repubblica Gianni Piazza, 47 anni, ricercatore da un mese sul tetto di Architettura a Roma – una buona parte dei manifestanti si è buttata negli scontri. Come se, soprattutto dopo la notizia della fiducia a Berlusconi, il senso di frustrazione, di essere centomila in piazza ma nessuno per il governo, avesse avuto il sopravvento”.

Non dissimile il discorso dei coetanei dei ragazzi arrestati. Dicono alcuni di loro alla nostra Caterina Perniconi sul Fatto: “La violenza è l’unico metodo col quale possiamo portare in piazza la rabbia e l’esasperazione – le parole di una studentessa della Sapienza – io martedì ho dovuto lasciare il corteo in anticipo e non ho visto gli scontri di piazza del Popolo, ma non li condanno. Sono solo contraria alle devastazioni gratuite, quelle non servono”.

Questa la situazione. Generazione P is in the house.

La violenza, non è mai inutile ripeterlo, non può essere giustificata: valgano tra tutte le parole di Roberto Saviano nella sua “Lettera ai ragazzi del movimento”. Ma i politici, anche quelli che militano nei partiti “moderati” – Fini, Casini, Rutelli – sembra che sappiano solo ripetere una frase vuota: “Questa generazione è la prima dalla Resistenza che starà peggio della precedente”. Come fosse un destino inevitabile, tipo “E’ inverno fa freddo”.

Se il “tradimento di una generazione” è in corso da vent’anni, il tempo delle analisi è finito, le elucubrazioni stanno a zero. Ora è arrivato il tempo delle risposte e delle soluzioni. Ed è già tardi.

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