Suvvia, ammettiamolo: come alfiere della Rivoluzione liberale, Silvio Berlusconi fa sganasciare; come interlocutore dei Grandi della Terra e rappresentante dell’Italia nei consessi internazionali, meno di una macchietta; come problem solver dei guai che ci affliggono (economici o ambientali che siano), risulta nient’altro che un imbonitore di sciroppi miracolosi da mercatino di paese. Però come analista psicosociologico delle faune nazionali – tanto quelle che si aggirano nel Parlamento come le restanti moltitudini dei nostri concittadini – un vero genio. Un genio dotato della naturale predisposizione a comprendere in un batter d’occhio con chi ha a che fare.

In effetti le intuizioni geniali berlusconiane sono almeno due, che gli assicurano un posto imperituro nel pantheon dei grandi esploratori dello specifico nazionale, tra Gaetano Salvemini e Paolo Sylos Labini:
1. la presenza nella nostra classe politica di un mucchio e mezzo di tipi e tipe con il cartellino del prezzo attaccato al bavero;
2. la persistenza di un numero enorme di donne e uomini che non chiedono di meglio che potersela bere.

Queste berlusconiane sono le illuminazioni tipiche del piazzista di vaglia, grazie alle quali ha potuto percorrere la straordinaria carriera da impresario (non da imprenditore, di grazia) che l’ha condotto a essere il più grande arricchito d’Italia. Ma che abbisogna di due condizioni sine quibus non: per piazzare le proprie patacche occorre trovare uno o più acquirenti. E a questo ci hanno pensato e provveduto i presunti avversari del magliaro di Arcore.

Del fatto che il Pci avesse dato via libera alla trasformazione delle televisioni in un immenso outlet delle mercanzie Mediaset – a partire da Valter Veltroni per arrivare a Massimo D’Alema (quello che si permette di apostrofare altri con l’epiteto “mentecatti”) e Luciano Violante – si è parlato ormai tante volte che non vale più la pena di tornarci sopra. Basta pensare allo scambio suicida tra la creazione dell’oligopolio Rai-Biscione in cambio dello strapuntino della Terza rete da trasformare in TeleKabul.

Più interessante è riflettere sul parterre di parlamentari in vendita predisposto dalle sedicenti opposizioni. A partire dall’ex falco di Federmeccanica, il Trimalcione veneto Massimo Calearo, quello che costrinse gli operai metalmeccanici a 50 ore di sciopero per strappare 127 euro lordi di aumento, arruolato come “imprenditore progressista” dal Pd senza neppure prendere visione del suo curriculum confindustriale e – probabilmente – senza averci fatto neppure un colloquio al momento della candidatura (altrimenti ci si sarebbe resi conto che quello entrava in politica a sinistra solo perché – a destra – non lo avevano preso in considerazione. Del resto lo ha dichiarato apertamente proprio il diretto interessato). Insomma, i poveretti credevano di aver trovato l’Adriano Olivetti redivivo…

Ma di certo non brilla per attendibilità neppure Antonio di Pietro e la sua Italia dei Valori. Noi di MicroMega da tempo abbiamo aperto una finestra sui criteri selettivi dell’ex magistrato di Mani Pulite che hanno creato in periferia un partito in franchising, dove i franchisee sono gente che arriva da un po’ tutte le parti (con una certa prevalenza di provenienti dall’Udeur mastelliana), interessati solo a mettere il proprio personale cappello sulle fette di organigrammi pubblici che la crescita del partito si è accaparrato. Per cui – stante questo tipo di “spirito d’appartenenza” – ora l’onorevole dipietrista Antonio Razzi passa dall’altra parte, con tanto di colbacco di capelli, se solo gli risolvono un problemino di mutui; il collega Domenico Scipoliti fa l’analogo salto della quaglia per ragioni pressoché identiche.

Il problema è sempre lo stesso: chi li aveva selezionati, visto che con la nuova legge elettorale sono le segreterie a decidere l’eleggibilità? E – poi – chi aveva puntato il proprio futuro sulle futuriste Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini?

Il problema è che Berlusconi, il quale di politica non capisce un’acca, una sua tecnologia del potere ce l’ha. Mentre i suoi avversari sono soltanto degli emeriti pasticcioni, che non sanno neppure scegliersi gli ascari di fiducia. Come ben si è visto martedì scorso nei due rami del Parlamento.

Certo, se l’ipotetica sfiducia avesse avuto come base un’effettiva ipotesi politica di ricambio rispetto all’attuale governo, le transumanze sarebbero state un po’ più difficili. Se non si fosse dato tutto il tempo possibile all’azione dei reclutatori di comprabili, la compravendita sarebbe risultata un po’ più complicata. Se, se…

Il problema – dunque – è che Silvio Berlusconi continua a vincere perché di fronte si trova competitori inadeguati. Non di rado con alle spalle una lunga storia di affaroni e affarucci con l’ineffabile premier. Che – in tale situazione – può giocare la parte che meglio interpreta: quello che si compra gli allocchi a stock, a container. Del resto gente che conosce come le proprie tasche. E sa che non costituiranno mai un problema per il suo attuale business: mettersi in tasca l’Italia intera.

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