NAPOLI – Cronisti sottopagati o disoccupati, e delusi di aver compiuto un grosso investimento di tempo e di denaro in un master che non offre uno sbocco professionale vero. Sono queste le amare conclusioni di uno studio promosso dal “Coordinamento giornalisti precari della Campania”, presentato nella mattinata del 17 dicembre presso la libreria Evaluna di piazza Bellini, a Napoli.

Il Coordinamento raggruppa una schiera di giornalisti locali che si arrangiano tra contrattini e collaborazioni. In questi mesi ha prodotto dei dossier sullo sfruttamento dei cronisti napoletani, sui meccanismi distorti dell’accesso alla professione e sulle truffe dei corsi-fantasma, istituti privati più o meno riconosciuti che propagandano lezioni a pagamento in cambio del tesserino di pubblicista.

Nelle ultime settimane il Coordinamento ha acceso un faro sui master di giornalismo, le scuole universitarie che consentono, a termine del corso, di accedere all’esame di stato per l’iscrizione all’albo dei giornalisti professionisti. Ne è nata l’idea di rivolgere agli studenti della scuola del Suor Orsola Benincasa, Napoli, nata nel 2003, e dell’Università di Fisciano, Salerno, nata nel 2008, un questionario a risposte aperte. Hanno aderito in 36, il 24% del totale degli studenti usciti tra le due scuole, stimato in 150 circa. Gli intervistati hanno in media 30 anni. Nella maggior parte dei casi lavorano in condizioni contrattuali precarie, tra cococo, contratti a progetto o retribuzioni a singolo articolo. Solo il 16% ha un contratto a tempo determinato con una testata, appena il 6% ha ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato. Il 25% degli interpellati hanno dichiarato di essere disoccupati. E comunque le retribuzioni dei giornalisti sfornati dai master sono imbarazzanti. Il 30% di loro percepiscono meno di 500 euro al mese. Un altro 30% si colloca tra i 500 e i 1000 euro. Il 22% non guadagna nulla. L’11% arriva a guadagnare tra i 1000 e i 1600 euro. Solo il 3% riesce a strappare retribuzioni tra i 1600 e i 2000 euro al mese, infine c’è un fortunato 3% che guadagna oltre i 2000 euro al mese.

Lo studio registra anche la delusione dei ragazzi che hanno investito cifre consistenti (una retta di 12mila euro annui) in corsi giudicati poco utili e non perfettamente soddisfacenti per il livello di preparazione raggiunto, soprattutto a causa dello scollamento tra teoria e pratica giornalistica. “Sicuramente la scuola – scrive un ex alunno – è un’esperienza di vita, ma che, almeno a Salerno, resta tale perché manca un mercato giornalistico tale da accogliere (in un iter a norma di legge) i giornalisti professionisti. Se manca il mercato non ha senso produrre professionisti che poi avranno il triplo delle difficoltà per essere assunti. Quindi occorre una razionalizzazione del numero di scuole di giornalismo sul territorio. Si mantengano quelle strutture collegate già a determinati ambienti di lavoro o comunque in città importanti. Tutte le altre possono dare anche la migliore istruzione del mondo, ma non servono a niente”. Un’altra ex-alunna aggiunge: “Abbiamo giocato a fare i giornalisti, perché la situazione lavorativa, dopo i due anni di master, è drammatica. C’è inoltre poco interessamento per il post-corso (non ho ricevuto una telefonata dai miei tutor di supporto, per segnalarmi un concorso pubblico), diciamo che dopo aver intascato i 10 mila euro hanno simpaticamente detto arrivederci e grazie, trincerandosi dietro alle parole “la situazione è difficile”. Trovo il percorso totalmente inutile per l’inserimento nel mondo del lavoro”. Un terzo ex alunno aggiunge: “Il “tesserino” da professionista anche se retaggio di una cultura corporativa che dovrebbe essere rovesciata, è, al momento, un “pezzo di carta” che consente di partecipare anche a concorsi nella pubblica amministrazione (in attesa delle singole ratifiche della legge 150). Visto il periodo di crisi e considerata la riduzione degli spazi nelle redazioni, è una alternativa da non sottovalutare per chi vuole vivere di giornalismo.

La scuola, con tutti i suoi limiti, dà la possibilità di ottenere i titoli utili per partecipare a diverse selezioni. Sarebbe auspicabile un corso che prepari realmente alla professione e non un’accozzaglia di gente e materie lanciate alla rinfusa. Ma magari la preparazione teorica la si affida alle proprie capacità di essere “insegnanti di se stessi”, la pratica la si svolge nello stage (unica esperienza veramente formativa) e, se si è meritevoli, si può accedere alle borse di studio regionali per chi frequenta master. In attesa che qualcosa cambi, e premendo affinché cambi, mi pare un ragionamento realistico”. La maggioranza degli studenti spiega di essersi iscritta al master “perché era impossibile accedere al praticantato e diventare professionisti in un altro modo”. Ma c’è una risposta che colpisce per schiettezza e dispiacere: “Mi hanno venduto una grande illusione, quella che appena sarei uscito dalla scuola sarei stata assunta”. Purtroppo in Campania non è così.

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